Il giardino della parola

Il giardino della parola

 

dialogo con Velia Viti

 

a cura di Ivana Margarese

 


Ti sei laureata con una tesi sul teatro di Luchino Visconti. Cosa conservi di questo lavoro di ricerca?

L’amore per il testo. La mia tesi era sullo Zio Vanja di Visconti che si avvaleva della traduzione di Gerardo Guerrieri, una traduzione innovativa e moderna del testo di Cechov rispetto alle precedenti traduzioni italiane dei primi del ‘900. Dunque l’importanza di scegliere una parola rispetto ad un’altra, la piccola oscillazione che uno stesso concetto ha nel variegato vocabolario della lingua italiana. E come queste scelte definiscano un personaggio, diano un colore alla scena, un’atmosfera all’intero spettacolo. L’interpretazione che è già nel testo, che è in ogni singola parola del testo. In una società che sintetizza le emozioni in faccine predefinite e i concetti in icone, che traduce il non detto in puntini di sospensione, l’entusiasmo in innumerevoli punti esclamativi e l’amore, di ogni natura, in cuori in differente numero e diversi colori, il teatro, la letteratura, la poesia hanno il compito, il dovere di tenere in vita il variopinto giardino della parola.

 

Sei ideatrice e curatrice di Anagni Magica Misteriosa, un evento che quest’anno è alla sua quinta edizione, potresti raccontarci di cosa si tratta?

In un libro pubblicato negli stati Uniti nel 1981, Anagni è nella lista dei 55 luoghi magici esistenti nel mondo. Anagni Magica Misteriosa ha proprio questo obiettivo: svelare il lato magico e misterioso di questa città, più nota come la “città dei papi”. E’ un evento che si svolge nel primo o secondo weekend di agosto e che, coinvolgendo tutto il centro storico, offre ai visitatori un punto di vista, e di visita, sulla città, totalmente diverso, focalizzando l’attenzione sui luoghi e gli aspetti meno conosciuti della sua storia che ha antiche origini preromane. Attraverso visite guidate notturne e particolari, incontri culturali, spettacoli, concerti ed altri eventi gratuiti aperti a tutti, con il sostegno del Comune, nei luoghi appunto più suggestivi e “misteriosi” dello splendido borgo medievale, attingendo storie e personaggi dalla sua lunga tradizione storica e magica, si dà spazio e valore alle eccellenze artistiche e culturali, musicisti, attori, archeologi, scrittori, etc., che oggi vivono ed operano in questo territorio a sud di Roma, la Ciociaria, dove si trova un importante conservatorio, il Refice, e dove, nei vari centri ricchissimi d’arte e tradizioni, tantissime piccole realtà associative danno vita e propongono attività davvero molto interessanti.

 

Il tuo ultimo spettacolo è dedicato a Edgar Allan Poe e mette in scena una mistura inedita di ritmi e visioni. Da cosa è nata l’idea della sceneggiatura?

Due sono state le spinte. Anche tre. La prima è casuale: per un breve periodo ho realizzato, in collaborazione con due attori, un cantante e un dj, delle puntate radiofoniche per Radio Kaos, dove venivano fusi teatro, letteratura, lirica e musica tecno. Diciamo dei racconti radiofonici. La seconda è epocale: non è forse questa l’epoca della Morte Rossa, il terribile contagio che dilaga e che costringe le persone all’isolamento, come il Principe Prospero? Poe è lo scrittore che più racconta quest’oggi: paranoie individuali e follie collettive, la necessità di guardare in faccia la propria anima, con i suoi mostri e le sue ferite, in una società fortemente consumistica ed industrializzata, liberare lo spirito al di là di un’epoca, questa come quella ottocentesca, intensamente materialistica. La terza è sentimentale: un ritorno nostalgico ad un amore adolescenziale. Ci si innamora dei racconti di Poe a quindici anni, si leggono tutti d’un fiato, e poi via via nel corso degli anni si riprendono in mano, uno, poi un altro, li si indaga singolarmente e in ognuno di essi si vede giganteggiare la figura di questa personalità complessa e fragile, il suo rapporto con le donne in cui l’amore ha un volto fresco ma sempre sul capo un sudario (tutte le donne della vita di Poe sono morte giovani), il suo rapporto con la trascendenza e con l’esoterismo.


Quali sono oggi in Italia secondo te le maggiori difficoltà che incontra chi inizia a fare teatro? Penso al valore che ha ad esempio il portare il teatro nelle scuole, il farlo diventare esperienza per i giovanissimi, anche per la riscoperta di un valore del tempo diverso e dell’importanza della condivisione.

Le difficoltà del teatro sono le stesse che hanno tutte le attività di performance dal vivo: teatro, musica, danza, etc. Non tutte le società e non tutte le epoche sono “fertili”, e la performance dal vivo esiste esclusivamente nella sua propria epoca. Scrive Sartre: “Ci possono essere momenti più belli, ma questo è il nostro”. Io credo che questa frase sintetizzi perfettamente quello che i teatranti, i musicisti, i danzatori, etc. vivono in questo momento. Nulla come la performance dal vivo è prodotto e specchio della società in cui si realizza, Reggiamo lo specchio alla natura, per parafrasare Amleto. Non credo serva più ripetere che ci sono difficoltà e farne l’ennesimo elenco. E’ il nostro tempo. Ed è un tempo che precede immensi cambiamenti. Le modalità di produzione, allestimento, esecuzione che conoscevamo forse sono destinate ad esaurirsi, forse ci stiamo avviando ad una grande trasformazione, a qualcosa di completamente nuovo, come quando dal teatro antico si passò alle sacre rappresentazioni e da quelle al teatro curtense e poi ripartendo dal teatro antico si creò il germe dell’opera lirica. Credo che questa generazione abbia due compiti: preservare memoria di ciò che è stato e che si sta estinguendo, e predisporre le basi per uncambiamento che già si rende necessario, come ce ne stiamo rendendo conto, ma che probabilmente noi non vedremo nella sua apoteosi.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Il prossimo spettacolo che ho in programma è ad aprile. Sarà un monologo e il suo titolo sarà “La femmina della specie” (titolo tratto da una meravigliosa poesia di Kipling) e, sempre restando in un’atmosfera neogotica (forse perché sento davvero di vivere in una specie di nuovo medioevo), racconterà le vicissitudini di una donna vampiro, dal 1700 ad oggi.

Biografia

Velia Viti si è laureata in DAMS con lode, con una tesi sul teatro di Luchino Visconti.
Regista ed autrice, ha scritto e diretto numerosi spettacoli teatrali, alcuni dei quali selezionati al Fringe Festival di New York e di Roma, al Festival di Teatro Medievale e Rinascimentale di Anagni e alla Rassegna Off Incas Produzioni di Campobasso: Artifex (2009), B (2010), Noi, Mefistofele (2012), Cum Avibus (2015), Vaghe Donne (2015), Le Quattro Lune (2016), La Petite Robe Noire (2018), Looking for Macbeth (2019).
E’ ideatrice e curatrice dell’evento culturale estivo “Anagni Magica Misteriosa”, giunto alla sua quinta edizione. E’ presidente dell’Associazione “Città in Arte”, che gestisce le attività culturali di Casa Barnekow, ad Anagni. Con lo spettacolo La notte prima della disfida ha partecipato alle rievocazioni storiche per la Disfida del Malpensa a Guarcino.
Dal 2010 è curatrice dell’evento spettacolo, da lei ideato e diretto, Quartiere Caetani 1303 – L’oltraggio dello Schiaffo, rievocazione storica teatrale annuale all’interno di Palazzo Bonifacio VIII di Anagni. Ha pubblicato la raccolta Quel che accadde a Palazzo Bonifacio VIII, che contiene due sue opere teatrali.
Ha inoltre pubblicato vari articoli sulle riviste Orizzonti (Aletti Editore),Vignettopoli (Edizioni Damiano) e sui siti web Persinsala e TeatriOnLine.

 

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