Helsinki: un racconto per immagini

 

Helsinki: un racconto per immagini

 

di Francesca Egirls Vitelli

 

Cosa ti aspetti andando verso un Nord che hai conosciuto solo nei dialoghi di un romanzo con una ambientazione e un ritmo diversi dal solito, alla mente si affacciano piano sequenza di film con un paesaggio lontano assimilato, nei pensieri, a una suggestione. Il freddo. Non è solo pelle d’oca, ha una forma questo freddo, lo vedi nelle facciate dei palazzi, lo percepisci nell’andatura delle persone, lo noti sugli scaffali dei negozi e nei rumori degli spazi chiusi. Ha un odore e un sapore. Spalanco i sensi per annusare la città, i sentori forti e penetranti portati dal vento e quelli pigri che si dondolano nelle stradine laterali, discosti e riservati, scontrosi quasi, assaggio i sapori di una cultura che ho la curiosità di incontrare, le spezie che accarezzano la lingua e i matrimoni di dolce e salato che inattesi si presentano, desidero tastare la consistenza dei pensieri delle persone che capitano sulle traiettorie percorse, ascoltare suoni, rumori e silenzi che danno il tempo alla vita che scorre. Mi riempio gli occhi di colori, forme, spazio, luce e buio. Già la luce. Attirata come una falena dal bagliore estivo del nord mi dirigo verso il mare. Se nasci accanto a una distesa d’acqua salata tendi a cercarla ovunque, punto di riferimento per un orientarsi fisico ed emotivo. Se le tue labbra portano stampate il sapore del Mediterraneo il Baltico che ti accoglie ad Helsinki ti sembra insipido, l’acqua del fiume che ci si butta dentro, quello con un nome con la nostalgia delle vocali, ne stempera la salinità. L’uomo che vende i guanti bordati di pelliccia poggiati sulla bancarella al mercato affacciato sul porto, un mercato fatte di tavole circondate da tende di plastica con la parte superiore rossa che fa pensare ai disegni dei bambini, quelle in cui le case sono sbilenche e hanno i tetti rossi, si avvicina alla banchina fissando l’acqua. Gira lo sguardo che si fissa sui miei lunghi capelli bruni agitati dal vento, la sorpresa anima il suo volto, la rimembranza di altre chiome lo porta a raccontarmi dei troppi giorni in cui i suoi occhi scuri scorgono il bianco abbacinante del ghiaccio sotto il cielo plumbeo e buio e di quelli in cui la città, orfana della scorza gelata, vive con un mare brunastro. Si stringe nelle spalle incurvate, un sorriso al contrario di chi è stanco di essere triste, e con trattenuta mestizia spiega che non posso capire, nel posto in cui è nato il mare è sempre blu, di un blu intenso che mozza il fiato e nutre l’anima, un blu che ti scava dentro e si impasta con il sangue, la pelle e le viscere. Neanche un poeta potrebbe spiegarein tanti hanno provato – come il mare antico da cui viene ti entra attraverso gli occhi, la pelle, la bocca, il naso e si accoccola tra le costoleagitandosi, a tradimento, quando meno te lo aspetti. In comune con questo altro mare del colore dell’acciaio ha golfi, insenature e bagna città e paesi, solo che il suo è più intimo, più emotivo, più passionale. Non è solo cosa di colore, mi dice, ma di sapore e di profumi, è che il mare dove ha imparato a nuotare, prima ancora che a camminare, ha carattere, un giorno ti culla, amorevole, e quello dopo furente ti sbatte contro gli scogli acuminati che graffiano e maciullano. È fatto così. Ma il mare non è sempre mare domando. Stringe ilpaio di guanti morbidi che si rigira tra le mani e smozzica parole l’uomo stretto nella sua giacca impunturata di malinconia e ricordi di sofferenza per il distacco dalle trasparenze,no, il mare non è tutto uguale, il suo è gemma preziosa che ti si offre in un caleidoscopio di azzurri, verdi, blu e oro e di vita palpitante che respira: alghe, pinne, squame, branchie, occhi, carapaci, valve, ventose e miti. Questo a pochi passi, questo Baltico proprio non riesce a decifrarlo, è distante, distaccato, non dà confidenza, non suggerisce legami, non invoglia conversazioni. È acqua infida senz’anima. Non ti avvolge oleoso come unaseconda pelle che da bambino leccando ti faceva sentire il sale delle creature metà uomo e metà pesce. Sarà, forse, colpa del buio che qui è denso come la melassa e tutto avvolge in una notte che, pare, debba non finire mai. Ma adesso è estate c’è la luce e il sole fa capolino dalle rare nuvole. Sensazione effimera dicono i suoi occhi, è solo un miraggio che dura poco, presto il buio inghiottirà strade, case, acqua, terra, cielo e aria. Le onde che turbinano nei ricordi e nello spirito sono popolate da capricciose divinità affette da umane debolezze e sirene dalle lunghe capigliature cui confidare gli affanni. Io non posso capire, dice con un filo di voce guardando l’orizzonte, il suo mare canta, mugghia, soffia, urla, sbadiglia, sussurra e sbraita, questo, questo Baltico, non emette alcun suono, è muto. Io non posso capire, dice volgendo lo sguardo verso di me perché il suo mare è quello che avvolge e culla una terra troppo lontana da qui: la Grecia. Sul mio volto, come bucato steso al sole, si apre un sorriso, gli prendo la mano in cui ancora trattiene i guanti che deve vendere e rispondo che sì, posso comprendere, il mare dove sono nata io è lo stesso che bagna la sua anima.

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