Il dovere della madre

Il dovere della madre 

dialogo con Anna Polin 

a cura di Ivana Margarese 

immagini fotografiche di Claudia Corrent

 



Il dovere della madre è un romanzo di Anna Polin pubblicato dalla casa editrice AnimaMundi. La scrittrice racconta una storia ambientata in un immaginario paesino in Sardegna, dove la protagonista, la giovane Amata, compie un processo quasi alchemico di trasformazione di se stessa e del suo essere donna attraverso la ribellione, la resistenza agli schemi e alla violenza, l’ascolto della saggezza del corpo, che man mano sapranno condurla alla maturità:

C’è un segreto nelle donne della famiglia mia, alcune l’hanno dimenticato, altre lo ricordano come un guizzo di pesce che salta nell’acqua e poi sparisce. È un segreto dolce come il miele, prende dentro, si apre come un fiore, come il paradiso”.

Da cosa è nata l’idea di questo romanzo?

E’ un mistero anche per me. Stavo ascoltando la canzone “Disamistade” di De Andrè e una frase mi ha colpito: “che ci fanno queste figlie/ a ricamare, a cucire/ queste macchie di lutto rinunciate all’amore.” Questa frase ha creato in me  un’urgenza incontenibile, in un certo senso ho scritto sotto dettatura, seguendo un ritmo interno preciso, che aveva uno scopo che non comprendevo del tutto. Fin dalla prima parola era presente  lo svolgimento e la fine. Mi sono sentita più vicina a un compositore che a uno scrittore. Scrivere in quel modo mi ha dato una quiete profonda, avevo la sensazione di potermi distendere in qualcosa che è oltre l’apparenza e che aveva trovato il modo di esprimersi.

Il nostro attuale numero è dedicato al paesaggio, mi sono chiesta come mai hai scelto di ambientare il tuo romanzo su un’isola e in particolare in Sardegna.

Forse le isole sono luoghi che possono procedere con un passo meno spedito del continente, sono protette dal mare, invase in estate e lasciate tranquille in inverno. La Sardegna ha qualcosa di femminile, ci sono molte tracce del culto della madre, ha una mare commovente e una terra aspra. La bellezza immediata che appare attraverso un sapore, un odore, un luogo, rivelano un senso di trascendenza che è spesso offuscato nelle città. Lo stupore che dona l’isola crea un contrasto naturale: da una parte c’è la sofferenza della protagonista, dall’altra la natura. La  forza invisibile e materica è il fil rouge che orienta Amata, un sentiero che viene prima di qualsiasi dolore ereditato. La cosa incredibile è che ho scoperto la Sardegna solo dopo aver scritto il mio romanzo, ne ho in qualche modo incomprensibile intercettato l’essenziale.

Amata sopperisce all’assenza dell’uomo che ama e che le è negato per ragioni sociali colorando le case del suo paese. Ci sono il giallo ginestra, il blu del mare, il rosso fragola del rossetto che sceglie di rubare al negozio del pane di nascosto dagli occhi della madre, che invece porta il nero del lutto costante. Cosa lega la tua scrittura ai colori?

Nel testo i colori rappresentano la ribellione contro il nero degli abiti delle donne. Il giallo, il rosso, il blu,sono le emozioni di Amata, colorare i muri la salva. Il suoi colori sono sfacciati, indisponenti. In particolare il rosso ha una simbologia profonda, è un colore primario che viene usato quando si vuole rendere visibile qualcosa o quando gli si vuole dare calore. Il rosso di Amata è provocatorio, rappresenta lo stesso sangue dei morti, ma nel suo caso è portatore di desiderio e di coraggio.

 

Rimanendo in ambito sensoriale mi interessa sottolineare lo stile musicale della tua scrittura, ricca di immagini poetiche che accompagnano in maniera fluida il lettore nella narrazione. Ti ritrovi in questa definizione?

Si, molto. Sono cresciuta con la musica, in casa Mozart,  Beethoven, Mahler erano la colonna sonora di ogni cosa. La musica è stata anche la prima comunicazione con mio padre: mi teneva in braccio mentre le sue dita seguivano il ritmo. Credo che questo abbia profondamente influenzato il mio modo di scrivere e  di percepire il mondo. Più tardi ho sperimentato che musica e parola nascono dallo stesso luogo, richiedono lo stesso ascolto. C’è una parola che descrive e una che rivela, la seconda è portatrice di silenzio. Il musicista prima di fare la prima nota, ascolta. Ho un amico direttore d’orchestra, ogni volta che lo vedo dirigere sono incantata dall’immobilità che precede la prima nota. In quel momento condivido lo stesso luogo, sento quello che lui sente, eppure c’è solo silenzio. Quando la musica arriva viene solo rivelato ciò che era già presente. Uso la parola “rivelazione” e non espressione perché è più precisa. Io credo che la scrittura funzioni allo stesso modo, non è sempre facile scrivere così, è un allenamento costante, quotidiano che richiede molta umiltà.

A un certo punto del testo appare il termine “normalità”, che nel caso specifico di Amata è condizione legata alla possibilità di essere ciò che si è naturalmente senza nascondigli, accettarsi, essere accettati e agire “normalmente”.
Puoi spiegarmi meglio questo passaggio della storia?

Normalità per Amata è sperimentare la libertà dalle regole sociali non dette, dalla sofferenza tramandata di generazione in generazione. “Normalità” deriva da  “norma”, si tratta nel suo caso di obbedire a leggi naturali che precedono le regole in cui si è trovata a vivere. Normalità è anche però distensione, perché solo quando le tensioni che portiamo dentro si allentano, possiamo percepire la realtà così com’è.

I due uomini, Giovanni e Andrea, che racconti attraverso le emozioni di Amata appaiono profondamente diversi tra loro, quantomeno nella relazione instaurata con loro dalla protagonista.
Giovanni e Andrea fanno vedere l’evoluzione di Amata. Giovanni è un amore adolescenziale, forte, passionale, pronto a rompere qualsiasi proibizione. La relazione con lui non conosce il quotidiano, è sempre eccezionale, fuori dalle regole. E’ qualcosa che brucia e spezza. Per Amata è un incontro fondamentale, perché attraverso Giovanni scopre il suo diritto di esistere. Andrea è invece un amore che si forma poco a poco. Andrea è ape e favo. Attraversando la propria oscurità, la protagonista scopre che nel fondo delle cose più buie c’è del miele. Insieme sono costruzione della dolcezza perché entrambi diventano fedeli a qualcosa che è prima di ogni dolore. Giovanni rappresenta la forza necessaria, per entrare dentro i propri limiti, Andrea è invece la normalità intesa proprio nel senso che dicevamo prima, ovvero il rilassamento rispetto ai propri schemi. C’è una frase di  Rupi Kaur che spiega molto bene l’evoluzione d’Amata descritta attraverso Giovanni e Andrea: ” ci ho messo una vita per diventare una ribellione tanto dolce.”

Biografia

Anna Polin è nata in Veneto, ma dal 2000 vive in provincia di Firenze. Ha pubblicato “Il musicista”, menzione speciale opera prima premio Pisa e finalista al premio Fenice Europa, seguito poi da “Pelle Cielo”. “Il dovere della madre” è il suo terzo libro. Nel 2022 uscirà la sua prima raccolta di poesie pubblicata sempre con Anima Mundi Edizioni.
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