Erice e la colomba

 

Erice e la colomba

 

De l’ombroso pelasgo Èrice in vetta eterna ride ivi Afrodite e impera,

e freme tutt’amor la benedetta

da lei costiera.

G. Carducci, Primavere elleniche, Rime nuove, LXII.2, 5-8

 

 

In Filosofia perenne e mente naturale Elémire Zolla esplicita l’importanza del riconoscimento del mito della dea originaria attraverso la simbologia che introduce al matriarcato:

Infine la dea è donna, giumenta, serpe, delfina, colomba. Coincide con ogni albero o giardino, dei quali è lei a proporre i farmaci, largendo alle sue cultrici la potenza, commutandoli in Circi. Ma appare soprattutto come ape regina o sacra prostituta e come tale sopravvisse a Erice in Sicilia, a Corinto in Grecia, oltre che a Cipro, in Palestina, e perfino nell’India prearia.

I miti non parlano soltanto alla parte di noi che sente e riflette ma ci inducono ad andare a fondo “evocando rimembranze che la mente quasi sempre ignora” . Ci affidiamo così  alla melodia dei suoni come avviene nell’incontro tra il bambino e la  madre o tra innamorati, capaci di esprimersi con suoni, nenie, balbettìi privatissimi.
In Sicilia e più specificatamente a Erice c’è traccia, come sottolinea lo stesso Zolla, di un culto antico e affascinante: quello di Venere ericina. Dal contesto multiforme della Sicilia antica, la dea emerge come una figura composita, che non è possibile inquadrare da una sola angolazione. Attraverso i secoli, fu chiamata Afrodite dai Greci, Astarte dai Fenici, Herentas dai Campani e Venere dai Romani.
La dea di Erice ha destato particolare interesse, se non altro in quanto seconda divinità più importante dell’isola dopo l’onnipresente Demetra/Cerere, la cui origine viene collocata da una vasta e consolidata tradizione direttamente in Sicilia. Seppure si riscontra la più completa assenza di dati documentari circa le fasi più antiche del culto e a livello archeologico il santuario ericino sia stato quasi completamente occultato da una fortezza normanna, al di sotto della quale restano soltanto pallide tracce dell’ultima fase costruttiva di età imperiale.
Le prime testimonianze dell’esistenza del santuario risalgono dunque alla seconda metà del V sec. a.C. In questo stesso periodo esisteva pure, sul monte Erice, l’omonima polis, che doveva essere di formazione piuttosto recente. Dopo la sua nascita Erice godette sempre di un rapporto molto stretto con la dea, la cui effigie fu l’unico tipo originale della zecca cittadina e ne divenne il vero e proprio tratto distintivo.
Altro forte segnale del radicamento della dea in città (o comunque sul monte) è l’uso costante accanto al suo nome dell’epiteto locale «Ericina», che si mantenne in tutte le lingue in cui la dea fu onorata e perfino nelle dediche provenienti direttamente da Erice, dove a rigore non sarebbe stato necessario.
In onore della dea si celebravano ad Erice due festività annuali, conosciute come Ἀναγώγια («feste della partenza») e Καταγώγια («feste del ritorno»). Le feste marcavano l’inizio e la fine di un breve intervallo di tempo durante il quale si riteneva che la dea abbandonasse la sua sede sul monte. In corrispondenza delle Ἀναγώγια, quando la dea lasciava Erice, a giudizio unanime delle fonti, la sua partenza era segnalata dalla sparizione delle numerose colombe che normalmente affollavano il santuario.
Il rapporto con le colombe potrebbe essere derivato al culto ericino dal precoce influsso esercitato su di esso dal vicino mondo greco e fenicio. Questi uccelli, infatti, figurano ai primi posti sia tra gli attributi di Afrodite che tra quelli di Astarte. Nel caso della dea greca, il legame con questi animali è sottolineato a più riprese dalle fonti letterarie e reso evidente dall’iconografia. A livello cultuale, tra le offerte in suo onore si registrano spesso statuette raffiguranti colombe o figure femminili recanti una colomba, senza contare che questi uccelli sono talora attestati anche nel ruolo di vittime nei sacrifici che le erano rivolti. Ecco che la colomba, rappresenta spesso l’amore in quanto attributo della dea della fertilità. Nel culto di Dumuzi e in quello di Adone la dea appare nella veste di una madre che piange la prigionia del figlio negli inferi dove scende per liberarlo, per farlo risorgere dalla morte. È possibile che il lamento della colomba abbia contribuito a farne nel Vicino Oriente il simbolo speciale della dea dell’amore. Come Erice, inoltre, molte città che si segnalavano per il culto di Afrodite esponevano una colomba sulle proprie monete: è il caso di Sicione, Corinto, Citera e Pafo.

 

Il santuario ericino è stato da tempo largamente coinvolto nel dibattito sulla cosiddetta «prostituzione sacra»: un concetto controverso che non ha mancato di suscitare aspre discussioni sulla reale veridicità di questo fenomeno. L’idea di base, piuttosto antica e  radicata nella storiografia, è quella che il santuario avesse alle sue dipendenze nutrite schiere di serve dedite alla prostituzione. Strabone in Geografia, libro VI, 2,5 (trad. a cura di A. Biraschi) scrive:

“E’ abitato pure l’ Erice, un alto colle su cui si trova il tempio di Afrodite, che gode di particolare venerazione, affollato anticamente da schiave sacre che i siciliani e molti stranieri offrivano in voto; ora, come lo stesso insediamento, anche il tempio è abbandonato, ed è scomparso il gran numero di schiavi sacri.”.

George Bataille nel suo L’Erotismo (1957,  traduzione di Adriana Dell’Orto per Es edizioni) si sofferma sulla prostituzione religiosa:

In un mondo anteriore- o esteriore – al cristianesimo, sempre accadde che la religione, lungi dall’essere contraria alla prostituzione, ne regolasse le modalità, come fece con altre forme di trasgressione. Le prostitute, in rapporto con il sacro, in luoghi a loro volta consacrati, avevano un carattere sacro analogo a quello dei sacerdoti.

Si tratta di una questione controversa che non verrà affrontata in questa sede in cui ci limiteremo a raccogliere le suggestioni offerte dal culto di questa divinità, attraverso cui è possibile avvicinarsi ai significati matriarcali della mitologia.
Zolla ricorda a questo proposito come tutto fosse fondato su questa potenza cosmica, percepita con intensità e stupore, esultanza e timore. Riverita e venerata teneva il potere con la forza del suo fascino. La Natura si manifesta così nella sua ambivalenza del tremendum, il terribile, il sublime, il maestoso, ma anche del fascinosum, l’incantevole e l’affascinante.

In questo ordinamento gli uomini, con loro immenso profitto, non si sentivano superiori alle bestie, alle piante, alle pietre, ai venti: in ogni realtà si mescolavano intimamente.

La colomba, che è divenuta nel tempo simbolo di pace, ci guida a non imbrigliarci in schemi troppo rigidi, in dicotomie e separazioni, ma piuttosto a sollevarci per creare incontro con ogni cosa che ci circonda.

 

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