“Madonie generose”

“Madonie generose”

 

Intervista a Gianfranco Anzini

 

a cura di Ivana Margarese 

 

 Madonie generose è un documentario di Gianfranco Anzini, andato in onda su Rai5 nel corso del programma “Di là dal fiume e tra gli alberi” e che sarà nuovamente trasmesso su Rai3 domenica 12 Settembre alle 11.00.
Anzini va alla scoperta degli aspetti meno noti di questi monti, raccontando questi luoghi e paesaggi attraverso le voci di coloro che vi abitano sia per nascita sia per scelta:

“Le Madonie si prestavano al racconto perché sono un territorio montano, che rimane anche un po’ isolato per il fatto che i vari paesi sono spesso ad alta quota, aggrappati a un unico massiccio montuoso che fa anche in modo che ci si senta nelle varie località comunque legati ad uno stesso paesaggio”.

Abbiamo dialogato con lui per comprendere meglio la sua ricerca e il suo lavoro narrativo attraverso il cinema documentario.


Vorrei ci raccontassi come nasce questa tua volontà di raccontare le Madonie attraverso un documentario che dà voce oltre che al paesaggio madonita anche a coloro che creativamente sono legati a questo territorio.

Quando il nostro gruppo di lavoro sceglie un luogo per realizzare una delle nostre puntate, lo fa in base a una serie di criteri consolidati nel corso del tempo, dato che siamo autori e registi che da tanti anni fanno trasmissioni di questo genere a partire da Fuori binario, un programma ideato diversi anni fa da Federico Lodoli.
Un primo criterio è quello di cercare dei luoghi in cui si sia formata una comunità di persone in qualche modo particolare. Luoghi quindi che possano essere isolati per motivi geografici come appunto le isole oppure le comunità montane. Zone cioè un po’ appartate, e già si vede quale sia l’attinenza di questo nostro modo di orientarci con la scelta di dedicare una puntata alle Madonie.
Negli anni sono saltati fuori anche altri generi di comunità: per esempio in un certo numero di puntate abbiamo raccontato alcune città portuali a partire dal loro porto. Io ad esempio due anni fa ho fatto ‘Il porto di Rimini’. Uno sguardo su Rimini in inverno, con il porto che fu il punto di partenza, dato che è un centro vitale della vita cittadina. In un porto si forma un’imprevedibile comunità, anche un po’ a parte rispetto al resto della città, composta da persone di tutte le provenienze che si mescolano e si intrecciano per i vari motivi legati ai movimenti e ai traffici che si svolgono all’interno di un’area portuale.
Per quanto riguarda le montagne, la mia prima puntata nella prima serie la dedicai all’altopiano di Asiago, e un’altra a sua maestà l’Etna, mentre nella seconda serie ho raccontato la Val Senales, in Sud Tirolo.
Le Madonie si prestavano al racconto perché sono un territorio montano, che rimane anche un po’ isolato per il fatto che i vari paesi sono spesso ad alta quota, aggrappati a un unico massiccio montuoso che fa anche in modo che ci si senta nelle varie località comunque legati ad uno stesso paesaggio.

 

Alcuni dei protagonisti di questo documentario sottolineano con dispiacere la questione dello spopolamento di questi paesi che nonostante la bellezza che raccolgono vengono abbandonati per abitare altrove.
Al contempo emerge tuttavia la scelta di alcuni che anche non essendo originari di questi territori hanno scelto di fermarsi qui a vivere. Quale impressione hai ricavato tu da questi incontri?

La questione dello spopolamento è un tema enorme e riguarda tutto il mondo globalizzato.
Non molti anni fa – dieci o dodici se non vado errato – è stato dato l’annuncio che per la prima volta da quando si hanno dati al riguardo, il numero delle persone che vivono nelle città ha superato quello di chi vive nei piccoli centri o comunque al di fuori dei grandi centri urbani. Questo avviene in tutto il mondo.
La tendenza a spopolarsi dei piccoli centri a favore delle città è quindi un fenomeno immenso, e quello che posso dire è solo che l’ho ritrovato in pieno in alcune delle vicende che ho raccontato nelle mie puntate, compresa quella sulle Madonie. Assieme però anche al fenomeno contrario, perché ho incontrato anche persone che vanno via dalle città perché la vita in città può assumere aspetti davvero disumani e sgradevoli, al limite di rendere insensato volersi ostinare a viverci.
Quindi nel documentario c’è Sofia Muscato, ad esempio, che è di Valledolmo e però vive a Palermo. Oppure Damiano Sabatino che è di Bompietro ma con la moglie risiede a Palermo. Però c’è anche il taorminese Ivan Trovato che ha lasciato addirittura un mare rinomato per venire a vivere sulle montagne, a Petralia Sottana. Oppure il musicista tedesco Willehad Grafenhorst che ha scelto di vivere nei pressi di Collesano, pur continuando a fare le sue tournée e i suoi concerti in Germania. Per non parlare di Gandolfo Pagano, designer e musicista palermitano che è tornato a vivere nella casa di famiglia ai piedi della rupe su cui è edificata Polizzi Generosa.
Questo andare e venire tra città e piccoli centri è un fenomeno immenso, che non posso far altro che osservare, ponendomi più domande che risposte. Forse posso dire che la scelta di tornare a vivere lontano dalla città sembra un’opzione che forse è possibile solo a persone che se lo possono permettere. Una scelta data da possibilità di cui si è già in possesso, mentre l’abbandono di un piccolo centro, del luogo d’origine, sembrerebbe più legata alla necessità: necessità magari anche solo di scegliere un luogo dove ci sono delle chance per le proprie ambizioni.
Invece restare in un piccolo centro abitato pregiudicherebbe la possibilità che certe speranze, soprattutto in ambito di quello che si fa nella vita, possano trasformarsi in realtà.

I luoghi sono portatori e custodi di sonorità. Viene detto esplicitamente nel tuo film anche attraverso le parole del musicista Gandolfo Pagano, che ha scelto di tornare a vivere con la compagna a Polizzi, suo paese di origine. È un tema ricco di spunti e suggestioni, oltre che una testimonianza di antica sapienza e vorrei una tua breve considerazione in merito.

Una delle cose che amo di più del mio lavoro è la possibilità di incontrare persone in un modo che non è mai superficiale, irrilevante. Anche con Gandolfo Pagano si è trattato di questo: lui mi ha detto delle cose che da allora in poi porto sempre con me. Ha fatto considerazioni su cosa sia la tradizione, per esempio, che per me rimangono memorabili, un vero arricchimento. E anche la sua osservazione sui luoghi come spazi sonori, è stata per me un dono prezioso, da conservare.
Da regista sono abituato ad entrare in un luogo e osservare in uno spazio ciò che c’è di presente: oggetti, superfici, volumi. Soprattutto mi interessa seguire il modo in cui la luce si distribuisce e si e si muove all’interno di quello spazio e tra quei volumi. Invece chiaramente un musicista più che un occhio è un orecchio e quindi in uno spazio percepisce la presenza di suoni che finiscono per costituire una caratteristica di quello spazio, al punto che lo identificano un po’ come fa un volto che identifica una persona rispetto ad un’altra.

Il tema del luogo e della relazione con il paesaggio mi sembra essere una costante della tua ricerca. Potresti parlarci un po’ dei tuoi precedenti lavori come documentarista?


Se guardo indietro alle cose che ho fatto prima di Di là dal fiume e tra gli alberi riconosco una continuità nel raccontare la presenza umana in un qualsiasi contesto.
Per esempio anni fa ho creato per la Rai una mini serie di cui sono autore e che si chiama Limen: italiani ai confine della ricerca in cui ho raccontato quattro tra i più importanti centri di ricerca scientifica in Italia. Ho cercato di raccontare la scienza attraverso le persone che la fanno, il loro essere in quei centri di ricerca e quello che facevano concretamente, quotidianamente. Il racconto di un luogo: il luogo di lavoro degli scienziati, scienza raccontata come impresa umana portata avanti da esseri umani, da persone.
Poi nel gruppo di lavoro in cui di cui già facevo parte, è nata questa possibilità di fare prima Lungo i fiumi corsi d’acqua e poi Di là dal fiume e tra gli alberi, che sono racconti di itinerari svolti incontrando persone. Io li vivo così: racconto paesaggi umani innanzitutto, e mi ci ritrovo molto per una serie di cose che fanno parte della mia formazione.
Importantissima per me da questo punto di vista è stata la frequentazione lunga e mai interrotta fino alla fine con Giuliano Scabia, drammaturgo poeta e scrittore che ho seguito per anni durante i suoi insegnamenti all’università di Bologna. Lo studio prima e lo scambio personale con lui mi ha raffinato gli strumenti semiotici studiati nella tesi data con Umberto Eco, rendendoli più vivi e validi che mai, tanto che fanno parte di me mentre lavoro. Anche fosse solo per entrare in relazione autentica, non deformante o generalizzante con quell’unicum che ogni persona è.
Un’altra frequentazione importantissima è stata quella con Gianni Celati, grande amico, sodale e poi affettuoso antagonista di Scabia. L’ho conosciuto in un’epoca in cui frequentavo anche tanti altri scrittori del gruppo emiliano e di questa frequentazione rimane nel documentario sulle Madonie una traccia ben visibile: il dialogo fra Nino Vetri e Mario Valentini a proposito del bel libro Sufficit che Vetri ha scritto ispirandosi a Geraci Siculo, nasce proprio dal fatto che io Mario Valentini lo conosco fin da quei tempi in cui stavamo a chiacchierare, a leggere, a ragionare sui modi di raccontare insieme a Gianni Celati, ma anche Ermanno Cavazzoni, Paolo Nori, Ugo Cornia, Daniele Benati e altri ancora.
Un ulteriore tassello non eludibile del mio modo di fare racconto documentaristico in televisione, passa attraverso la fraterna frequentazione di un David di Donatello 2019 che si chiama Agostino Ferrente, uno dei più geniali autori del cinema italiano attuale, secondo me. Con lui ho convissuto tante avventure cinematografiche e documentaristiche, sempre in un sodalizio puro e amicale, e quindi nella mia libertà di respirare la sua genialità, il suo talento, per farne una mia continua e inesauribile fonte di ispirazione. Il suo modo di guardare il mondo e di interagire con le persone per me è sempre stato un modello valido, importantissimo.

C’è qualche storia rimasta “invisibile” legata a questo lavoro che potresti raccontarci?

Devo dire che sono stato molto fortunato finora, perché tutte le volte che ho coinvolto nelle riprese qualcuno ho sempre avuto poi un buon riscontro in fase di montaggio. Quello che avevamo girato era valido ed è entrato nel racconto, nella puntata.  
Per me sarebbe grave rubare del tempo a una persona che si presta al supplizio di interagire con me e con una troupe, davanti a una o più telecamere, e poi buttare tutto. Butterei via anche il suo tempo. Certo, oggi le riprese sono un supplizio a cui le persone si sono molto abituate, anche tramite gli smartphone tutti sono continuamente soggetti o autori di fotografie e filmati e quindi il supplizio’ ormai è meno intenso, un supplizio tra virgolette. In ogni caso però si tratta di portare via del tempo a delle persone. In cambio di cosa? In cambio di chiamare un po’ di giorni dopo per dire: no guarda, alla fine non se ne fa nulla, non ci sei nella puntata … Questa cosa qua non mi è mai successa e faccio gli scongiuri perché non succeda mai.

Biografia

Gianfranco Anzini si è laureato con Umberto Eco sulle dispute scientifiche dall’Università di Bologna, dove ha anche a seguito, fino a diventare docente a contratto, Giuliano Scabia, poeta e drammaturgo inventore con Franco Basaglia di Marco Cavallo – simbolo della lotta contro la reclusione manicomiale. Dopo la laurea frequenta la Scuola di Alti Studi Internazionale in Scienze della Cultura di Modena – tra i docenti: Marc Auge, Clifford Geerz, Remo Bodei, Irving Lavin – e collabora con gli scrittori Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia, Daniele Benati, Paolo Nori in diverse esperienze: riviste, letture ad alta voce, sperimentazioni letterarie e teatrali.
Rinuncia a un dottorato in Storia della Scienza vinto a Bari, per iniziare la sua collaborazione con Rai Cultura. Oggi è in forza a Rai 5. Negli anni ha realizzato puntate e servizi per programmi in onda su Rai Uno, Rai Due, Rai Tre, Rai 5, Rai Italia, Rai Scuola.
Praticante di arti marziali cinesi dal 1986, segue gli insegnamenti diretti del M° George
Xhu e del M° Flavio Daniele, con la qualifica di istruttore della Nei Dan School.

 

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