L’isola di Caronte. Dialogo con Alessandro Buttitta

L’isola di Caronte. Dialogo con Alessandro Buttitta

a cura di Giovanna Di Marco

Immagini di Jenny Palmisano

L’isola di Caronte (Edizioni Laurana, pagine 147, Euro 15,00) è un giallo scritto da Alessandro Buttitta, già autore di Consigli di classe. 10 buone idee per la scuola, docente di Lettere bagherese che si cimenta per la prima volta in questo genere. L’isola che fa da sfondo alla narrazione è Ustica, luogo in cui si consuma l’omicidio o presunto tale di Giuseppe Vella, un giornalista antimafia, la cui biografia sembra ricalcare quelle di Peppino Impastato o di Mauro Francese. Tuttavia Vella cela un enigma che sarà svelato da Andrea Mangiapane, il protagonista del romanzo, in qualche modo un alter ego dell’autore a cui affidare  le illusioni e il poi disincanto di quell’età che si appresta a essere quella della ragione. Via i sogni: il trentenne letterato e plurilaureato, Andrea Mangiapane, pur di guadagnare qualcosa arriva a diventare becchino dell’Agenzia Vita Natural Durante e si trova a organizzare i suoi primi funerali comprensivi di indagine sul delitto. L’ironia e la disillusione di una storia ben costruita accompagnano tutto il testo per mezzo di finissime digressioni e citazioni letterarie, che saranno poi il viatico per la risoluzione del caso. Ma un altro elemento ci colpisce: è l’insularità come isolamento, prigionia e trappola, che quasi si replica: da un’insularità (quella della Sicilia come isola maggiore) a un’altra più ristretta (quella dell’isola di Ustica), contrastate però da una luce e da una bellezza che non sembrano parlarci di morte. Con essa però camminano a braccetto, come nella tradizione della migliore letteratura siciliana.

Quale necessità ti ha spinto a scrivere L’isola di Caronte? Racconta ai nostri lettori la genesi del tuo romanzo.

Avevo la necessità di scrivere qualcosa sulla trasformazione delle illusioni in delusioni, sul ruolo che le parole e il silenzio hanno nelle nostre esistenze, sul valore che diamo alle aspettative. Così mi è sembrato stuzzicante scegliere come protagonista un trentenne plurilaureato che, non trovando un lavoro in linea con i suoi desideri, sceglie di diventare un becchino in un’agenzia di pompe funebri. Poi da siciliani la luce e il lutto ci appartengono. Bufalino insegna.

Andrea Mangiapane, il protagonista della tua opera, è un letterato che diventa becchino. Lo si legge anche attraverso raffinate citazioni (gli ‘astratti furori’ di Conversazione in Sicilia di Vittorini diventano ‘distratti furori’). Potremmo leggere in chiave simbolica questo depauperamento del ruolo dell’intellettuale?

Sicuramente. Ricordiamo che Andrea seppellisce le proprie ambizioni per non essere seppellito con le proprie frustrazioni. E le ambizioni che ha sono tutte legate alla letteratura, alle parole, agli studi. Il ruolo dell’intellettuale, la cui definizione è molto labile, è venuto meno perché non c’è più quasi nessuno ad ascoltarlo. Paradossalmente oggi il nostro fantomatico intellettuale ha infinite possibilità di esprimere e veicolare le proprie idee e la propria visione della realtà. Tuttavia, in una società distratta come la nostra, in una società che ragiona per semplificazioni, le possibilità che qualcuno gli presti attenzione sono veramente poche. Siamo sommersi dalle parole, parole spesso vuote. Emergere con voce chiara e decisa da questo rumore di fondo è molto complicato.

Quello di Andrea Mangiapane è un apprendistato alla vita, quasi un allontanamento dalla letteratura, anche grazie al personaggio di una donna, Beatrice (nome forse non casuale). Eppure sarà Andrea a sciogliere il viluppo, a risolvere il caso, proprio grazie alla letteratura. Fino a che punto la letteratura può essere pericolosa nella vita e quando invece può essere salvifica?

Credo che la letteratura non possa salvare nessuno. La letteratura pone tante domande, fornisce qualche risposta, apre percorsi conoscitivi in infinite direzioni, stimola la nostra curiosità. Sicuramente non la reputo capace di cambiare la vita di qualcuno né in positivo né in negativo. Mi sembra questa un’idea molto romantica. Non è un caso che la parte più interessante del Don Chisciotte, un libro a me molto caro, sia quella in cui il nostro cavaliere errante si rende conto dell’insanabile distanza tra la realtà e le parole.

“La menzogna è più forte della verità”. Nella figura del giornalista Giuseppe Vella ho subito intuito un richiamo all’abate Vella de Il consiglio d’Egitto di Leonardo Sciascia. E, nello stesso personaggio, trovo un richiamo a Sciascia anche nel suo contestatissimo articolo sui professionisti dell’antimafia, che, su più livelli (giornalisti, scrittori, società civile) urla verità più profonde che riguardano le maschere indossate da noi esseri umani. Temi che il colpo di scena che riguarda il ‘tuo’ Vella possa attirare delle critiche?

Lo spero più che temerlo. Vuol dire che il romanzo ha una sua efficacia. Agendo in questa direzione ho cercato di pungolare il lettore. È un libro che vuole denunciare e autodenunciare le nostre miserie. Parlare di mafia e antimafia è sempre più difficile, specialmente in Sicilia, terra di simulazioni e dissimulazioni. Il rischio della retorica è altissimo. Bisogna stare attenti alle strumentalizzazioni di pensieri, parole, opere e omissioni. Il ‘mio’ Vella è senz’altro una vittima di questi tempi così ambigui.

Il tuo romanzo è quasi del tutto ambientato a Ustica, un’isola. Ma la città che è certamente più presente è Palermo, capoluogo di una regione che è un’altra isola. L’isola è un po’ la costrizione, la circolarità e, nella tua opera, l’espediente narrativo affinché i tuoi personaggi possano trovarsi costretti a vivere per alcuni giorni l’uno accanto all’altro. Quanto conta per te questa insularità?

Conta molto. Da anni mi chiedo se sono un siciliano di scoglio o un siciliano di mare aperto. Fino a qualche tempo fa, viste anche le mie esperienze, non avrei avuto esitazioni a dire a quale categoria appartenessi: siciliano di mare aperto. Oggi ho qualche dubbio di più in testa anche se ci sono giorni in cui la Sicilia mi sta strettissima. Sicuramente è siciliano il mio immaginario. Stare su un’isola, viverne le limitazioni più mentali che fisiche, ti porta inevitabilmente a osservare le onde del mare e riflettere sull’orizzonte che hai di fronte.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Non ho progetti ben definiti nel mio futuro. Attualmente mi sto documentando su una storia molto affascinante che ho scoperto poco tempo fa. Sono in fase di ricerca. Non so però che direzione prenderà la mia scrittura.

 

Biografia

Alessandro Buttitta, professore di materie letterarie e giornalista pubblicista, vive e lavora in Sicilia. Negli anni ha collaborato, tra gli altri, con la RAI e “Huffington Post” occupandosi prevalentemente di serie tv e cultura pop. Con Laurana Editore ha pubblicato Consigli di classe. 10 buone idee per la scuola (2017). Cura un blog omonimo sull'”Espresso”.

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