Felicitas Hoppe, Pigafetta

 

Felicitas Hoppe, Pigafetta

di Giorgio Galli

 

“Quella notte uno dei cuochi uccise un marinaio, che ne uccise un altro che aveva dato la caccia a un ratto, uccidendolo, e il capitano generale gettò tutti e tre in mare, prima di tutti il ratto, e io vidi l’odio negli occhi degli altri cuochi”.

Sembra un frammento di Daniil Charms, lo sfortunato e geniale scrittore russo precursore della letteratura dell’Assurdo, e invece è un brano di Pigafetta di Felicitas Hoppe, primo romanzo dell’autrice tedesca -se di romanzo si può parlare – oggi edito da Del Vecchio nella brillante traduzione di Anna Maria Curci. Che cosa narra questo romanzo è difficile dirlo, e al tempo stesso è chiarissimo. Narra di un viaggio per mare, ma soprattutto narra del narrare.
Scrive l’autrice:

“…parlo di tre viaggi, che mai possono diventare uno solo: in primo luogo il sogno del viaggio, in secondo luogo il viaggio reale e in terzo luogo il racconto. In sintesi: avere un sogno è una cosa, riesaminare l’immaginazione sulla scorta della realtà è un’altra. Lo sforzo maggiore è tuttavia richiesto da un terzo elemento, ritrasformare la realtà, dunque un viaggio che è stato intrapreso,  nel sogno del viaggio, in un testo che con il viaggio stesso non ha quasi più niente a che fare, ma che senza di esso non sarebbe mai nato”.

In effetti, Felicitas Hoppe ha intrapreso davvero un viaggio intorno al mondo, nel 1997, coi soldi vinti ai vari premi letterari per la sua prima raccolta di racconti. E Pigafetta è il resoconto di quel viaggio, ma è soprattutto una lunghissima metanarrazione condotta sul filo del sogno e dell’umorismo. È ancora l’autrice, nel saggio intitolato Sette tesori – riprodotto in appendice, sempre nella traduzione di Anna Maria Curci- a darci la chiave interpretativa:

“Per quello che mi riguarda, tendo tutta la letteratura su due semplici fili: sul primo è appeso ciò che tenta di scoprire il gioco della realtà e che di conseguenza simula la realtà con strumenti letterari, mentre sul secondo è appeso ciò che rovescia questo processo: viene simulata la letteratura con gli strumenti della realtà. Mentre dunque nel primo caso la forma più alta di arte consiste nel far apparire autentica una storia, ‘come nella vita reale’, nel secondo caso l’arte consiste nel far apparire la realtà come se essa non fosse altro che pura invenzione, magari una fiaba. In questo caso succede non di rado che chi scrive elevi il proprio ricordo infantile di realtà, quindi il ricordo di cose lette e ascoltate, a parametro per la realtà vissuta, realtà che non può ignorare, ma che vorrebbe continuamente superare, anche per i brevi momenti della propria scrittura”. 

E così, tra i passeggeri della nave compare un certo signor Happolati, nome preso da Fame di Knut Hamsun, e soprattutto compare Pigafetta, unico sopravvissuto alla spedizione intorno al mondo di Magellano e autore di quella “Relazione del primo viaggio intorno al mondo” che è presente in controluce lungo tutta l’architettura del romanzo. Un romanzo di difficile lettura, ma ricco di profonde intuizioni dell’umano, ricco di una psicologia che, proprio perché sganciata da qualsiasi intento di veridicità, da qualsiasi tradizionale “conseguenzialità” narrativa, riesce ancora più tranciante.

Nel saggio finale, l’autrice cita a lungo Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgreen come esempio di metanarratrice che le spara grosse, come il signor Happolati era un’invenzione del narratore di Fame che le sparava grosse con un vecchietto incontrato per caso. Gli unici racconti di viaggio realmente credibili, dice Hoppe, gli unici che rimangono, sono quelli completamente fantastici, perché non hanno la possibilità di essere smentiti. Il teatro dell’Oklahoma di Kafka è più credibile di un racconto ricco di particolari sull’America perché si incide nell’immaginazione e lì resta, nella sua rocciosa perennità di mito. Allo stesso modo, gli ammutinamenti, gli attacchi dei pirati e le creature favolose come i nani dalle orecchie di giganti fanno parte del bagaglio immaginativo di ogni viaggio per mare raccontato che si rispetti, e resistono al confronto con i dati di realtà dei veri resoconti di viaggio, che sono in genere documenti tecnici abbastanza noiosi. Chi tuttavia volesse leggere Pigafetta da lettore “ignorante”, non deve far altro che azzerare le proprie aspettative su di un romanzo e lasciarsi condurre dalla forza di un sogno, dalla sua logica segreta e dal suo umorismo. I dialoghi con Pigafetta che appare sotto l’orologio della camera dell’autrice, le figure del geografo e del coltivatore di pesche, il liquido che cola da un carico di patate marce, la sorella della narratrice che ascolta la narrazione e non ci crede, sono tutte figure di un sogno che può essere gustato come tale e può divertire se ci si abbandona alla sua logica altra;se si riesce a leggere come bambini, misurando la realtà sul metro di tante storie fantastiche ricevute, ascoltate e lette.

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