“Non pensare a me che come al vento”: lettere di Anna Maria Ortese all’amica Adriana

“Non pensare a me che come al vento”: lettere di Anna Maria Ortese all’amica Adriana

 

 

Ma come, su questa terra, cosa bella e mortal passa e non dura

Anna Maria Ortese, Vita di Dea

La vita non è mai nelle nostre stanze, ma altrove.

Anna Maria Ortese,  Alonso e i visionari 

 

 

Adriana Capocci Belmonte nasce a Napoli nel 1918, primogenita di Oscar Capocci Belmonte, avvocato di prestigio, e di Eugenia Avena, figlia dell’architetto Adolfo Avena, costruttore di numerosi villini liberty nel quartiere Vomero a Napoli. È una ragazza vivace e passionale, a Capri frequenta il bel mondo, tra gli altri anche Alberto Moravia e il giovane nipote del poeta Tagore, uno degli animatori del partito comunista rivoluzionario indiano. Di loro scrive nel diario, che tiene fin dall’adolescenza, e nelle lettere, con toni entusiasti: “Caro Soumy, l’India mi attrae ancora, sempre di più, furiosamente, ora che ho un’altra più grande ragione per amarla”, scrive al giovane Tagore, e a Moravia, “che sguardo inquieto e inquietante, che bocca stretta ed egoista – lo amo è certo, vicina a lui mi piace di stare, profondamente, ma quando lo lascio mi sento un po’ morire”.

La sua storia è intrecciata con quella di una delle scrittrici italiane più singolari del Novecento: Anna Maria Ortese. Si incontrano nel salotto di Benedetto Croce, grazie all’intervento di Alda Croce, compagna di Adriana all’Istituto Orientale di Napoli.
È il 1937, Anna Maria è più grande di Adriana di soli quattro anni e ha già pubblicato Angelici dolori, libro che Adriana ha letto e apprezzato, tanto da scrivere nel suo diario nel novembre 1937:

Quattro mesi fa e più, andando a Capri, comprai il libro di Anna Maria Ortese, per cui già, non so come, sentivo una singolare attrazione. È stato pure l’unico libro della mia estate – lo lessi subito e lo amai – ma tante volte nelle ore nostalgiche del crepuscolo lo prendevo in mano, tutta accesa di desiderio e di sofferenza per quelle finestre sul mare e per quella ragazzina rapita e tempestosa – ho tanto desiderato di essere sua amica.

Le due giovani donne si avvicinano incuriosite l’una dall’altra e, come accade in ogni genere di innamoramento, compresa l’amicizia, sembra a ciascuna avendo vicino l’altra di essere più prossima a un desiderio di sé non ancora realizzato.


Entrambe si invaghiscono dello stesso uomo, Aldo Romano, storico del Risorgimento e frequentatore abituale di casa Croce, ma mentre per Anna Maria Ortese questo slancio rimane qualcosa di irrealizzato, Adriana Capocci inizia con lui una breve relazione, seppure tormentata e non costante, come si comprende da quanto appunta nel diario:

 

Ora vorrei sapere perché non mi ha scritto, da domenica ad oggi. Io anche- è vero -non gli ho scritto. Ma io non ho voluto scrivergli. Ho dovuto farmi forza e stringere i denti per non chiamarlo, carezzarlo con nomi, gridargli Aldù, Aldù, mi senti? Ti amo. Ma lui, perché avrebbe potuto non volermi scrivere?

 

Assai più tardi verrà alla luce che Aldo Romano è anche una spia dell’Ovra, coinvolto nell’omicidio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, avvenuta nel giugno del 1937. Dalla complicata vicenda di questo triangolo amoroso la scrittrice trae ispirazione per il romanzo Il porto di Toledo (1975), testo capace di accogliere al contempo realtà e finzione, in cui Ortese dichiara immediatamente al lettore che l’unica maniera di scrivere la storia autentica della sua vita è  raccontare di sé attraverso una falsa autobiografia. Queste le parole con cui apre il libro:

 

Sono figlia di nessuno, nel senso che la società quando io nacqui non c’era o non c’era per tutti i figli dell’uomo. E nascendo senza società o bontà io stessa, in un certo senso non nacqui nemmeno, tutto ciò che vidi e seppi fu illusorio come i sogni della notte che all’alba svaniscono.

 

La condizione di Ortese è realmente tutt’altro che privilegiata, vive in povertà economica, ha sofferto la perdita di due fratelli e non gode di alcuna protezione familiare o sociale. Il fatto di essere priva di mezzi e di istruzione la conduce tuttavia a un percorso di scrittura estremamente personale, ovvero a creare se stessa come scrittrice. Pasolini, secondo quanto scritto da Grazia Livi a Ortese, in una lettera del 30 Marzo del 1943, con la sua abituale lucida attenzione, aveva molto apprezzato la scrittura e i temi de Il porto di Toledo, di cui purtroppo non fece in tempo a scrivere. Nel romanzo Aldo Romano prende il nome di Lemano e Adriana Capocci Belmonte quello di Aurora Belman, dove verrà chiamata “cuore di luce” e anche “ragazza di luce”. La protagonista descrive così l’intensità del suo innamoramento:

Ormai io ero capovolta. Le cose vedevo rovesciate. La terra su cui camminavo si chiamava: Lemano. Il cielo grigio: Lemano! Le sperse case come nubi: Lemano! Le vele, l’orizzonte, il vento, la pioggia, il veloce sole tra la pioggia, la mansueta luna che vi guarda con i suoi occhi di pietra, tutto aveva un solo nome: Lemano! (Porto 578-79)

E ancora:

Da tale giorno a quello che io rividi Lemano, passò molto, e questo molto ebbe la smemoratezza di una malattia. Non grave, apparentemente, fatta sola di una nausea lieve e sonno interiore dell’anima antica di Toledana […] davanti a me si apriva una distesa fortemente azzurra e in eterno sommovimento, di cui non si scorgeva nessun termine, dalla quale ero circondata…d’ogni parte: era A. Lemano. (Porto 604)

Le due amiche, lontane ormai da Napoli, si scrivono per raccontarsi le loro giornate e il loro sentirsi talvolta stranite o in preda alla solitudine. Ortese ricorda il periodo felice trascorso insieme, esalta la bellezza e il fascino dell’amica, che definisce poeticamente “un meraviglioso uccello dai mille colori”.
Il loro carteggio permette di scoprire aspetti meno noti del temperamento della Ortese, come la passionalità o la collera che testimoniano il suo essere al contempo sapiente e istintiva. Assai tenera e protettiva con l’amica, con cui sente di condividere un sentimento di “stranezza” e solitudine, non appena apprende per lettera della relazione tra lei e Aldo Romano è scossa, si sente ferita e risponde con parole di rabbia. Ecco cosa scrive in data 24 novembre 1940:

 

Ma cosa credi, che Anna Maria Ortese sia una mummia, una vecchia zia, un pappagallo impagliato? Sono fatta di nervi e sangue, e soprattutto cuore, come forse non sei fatta tu, e non sono disposta a far da tappeto al vostro piacere.

 

Ortese rivendica il suo essere una donna fatta di nervi e sangue, e soprattutto di cuore. Accusa Adriana di avere avuto troppi amori e di averle raccontato della relazione per vanità, spinta dalla sua necessità smodata di pavoneggiarsi e le chiede di non scriverle più. In seguito, pentita per essere stata così dura, si scuserà con l’amica, che nel frattempo si è ammalata di tisi. La sofferenza fisica di Adriana colpisce fortemente Anna Maria che chiede perdono. In una lettera del 19 febbraio del 1942 scrive:

 

Tu hai capito quello che volevo dirti: che nella mia anima non c’era nulla, nulla di cattivo, come nel cielo quando la notte c’è stato molto vento; e tutto quello che si poteva sentire era soltanto un canto di gioia, perché io tornavo a “vedere”, cioè amare […] ho paura di essere stata a momenti (con tutti) selvaggia, dura; questo era perché soffrivo o ero debole. Sono dunque così ansiosa di perdono. Mi piace questa parola. È così dolce, a momenti, essere umili, piegarsi, ammirare, riconoscere, amare. Si ridiventa fanciulli. In quell’aria magica […] Ecco, voglio essere lieve lieve, come vento, non pensare a me che come al vento.

 

Queste parole private riconducono a molti dei temi del pensiero della scrittrice, fra gli altri quello del legame tra infanzia e meraviglia che emerge nei personaggi delle sue storie come nella figura di Estrella, piccola e indifesa, metà animale e metà donna, ne L’iguana o nella tredicenne Damasa de Il porto di Toledo. C’è nell’opera di Ortese un riferimento costante a una ragione poetica secondo cui l’essere al mondo non può essere ricondotto a una ragione che non sia capace di accogliere anche l’esistere, il sentire, il soffrire. Il meraviglioso non è tuttavia un compiacimento romantico ma è il modo più spontaneo di definire il vivere e il sentirsi vivere, la straordinarietà dell’essere nati, sentimento che condivideva con l’amica Adriana, che vorrebbe rivedere presto guarita.
In una intervista del 1989, contenuta in Corpo celeste, dichiara a proposito dello stupore proprio dell’infanzia:

 

Credo in tutto ciò che non vedo, e credo poco in quello che vedo. Per fare un esempio credo che la terra sia abitata anche adesso, in modo invisibile. Credo negli spiriti dei boschi, delle montagne, dei deserti, forse in piccoli demoni gentili. Credo anche nei morti che non sono più morti. Credo nelle apparizioni. Credo nelle piante che sognano e si raccomandano di conservare loro la pioggia […] In tutto credo, come i bambini.

 

Nella scrittura ortesiana è spesso presente lo scarto tra un’originaria aspirazione alla felicità e al godimento della bellezza del mondo e il sopraggiungere del dolore e della perdita. Adriana morirà nel luglio del 1944, a lei è dedicato il racconto Vita di Dea, contenuto ne L’Infanta sepolta, che narra la vicenda di una ragazza “la cui bellezza e naturale ingegno avevano qualcosa di divino” e che a dispetto della sua straordinaria inclinazione per la vita si ammala e muore giovane:

“Dalla punta dei piedi leggeri fino alla fronte ampia e serena come il cielo, dagli occhi color nocciuola, di una dolcezza a nulla paragonabile (solo i raggianti angeli possono guardare come ella guardava, con una tale profonda infinita gioia), al purissimo ovale del volto, sottile nella cornice degli sparsi capelli biondi, ella emanava una grazia tale, un così meraviglioso potere, che tutti, parenti, amici, servi e chiunque la conosceva, ne rimanevano presi e incantati per sempre, e la fama della sua angelica beltà e gentilezza già varcava le mura rosse della nativa città”.

Bibliografia

Angela Bubba ( a cura di), La grande Iguana. Scenari e visioni a vent’anni dalla morte di Anna Maria Ortese. Atti del convegno internazionale. Roma, biblioteca Tullio de Mauro, 4–6 giugno 2018.

Rossella Di Rosa, Anna Maria Ortese e Maria Zambrano: da “luoghi di esilio” per una filosofia poetica, in Italica, 92, I, 2015.

Sergio Lambiase, Adriana cuore di luce, Bompiani 2018.

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