Byung-Chul Han: la scomparsa dei riti

Byung-Chul Han: la scomparsa dei riti

 

di Ivana Margarese

 

La scomparsa dei riti. Una topologia del presente è un saggio di Byung-Chul Han, pubblicato quest’anno da Nottetempo.
L’autore apre il testo con una avvertenza ai lettori:

Il presente saggio non è animato dallo struggente desiderio di un ritorno ai riti. Essi fungono, piú che altro, come un lucido di contrasto dinanzi al quale il nostro presente assume contorni piú netti. Senza nostalgia, verrà delineata una genealogia della loro scomparsa, non interpretata tuttavia come un processo di emancipazione. Ripercorrendone le linee, emergeranno le patologie dell’oggi, soprattutto l’erosione della comunità, e si rifletterà su altri modi di vivere potenzialmente in grado di liberare la società dal suo narcisismo collettivo.

Si tratta di una avvertenza significativa dal momento che introduce al metodo di lavoro del filosofo e anticipa alcuni temi dell’opera: il rito, il desiderio, il conflitto, la comunità erosa dal narcisismo collettivo.
La genealogia della scomparsa dei riti, svolta da Han, non è animata da un sentimento nostalgico ma è uno strumento per fare emergere le patologie contemporanee, soprattutto l’erosione della comunità e il narcisismo collettivo.
I riti hanno infatti la funzione, attraverso la loro ripetizione, di offrire stabilità al nostro vivere quotidiano, sono azioni simboliche legate alla comunità e la loro scomparsa testimonia come oggi sia dominante quella che Byung-Chul Han definisce “una comunicazione senza comunità”.
Il pensiero, secondo quanto dichiarato dal filosofo coreano in una intervista, chiama in causa il conflitto, l’armeggiare, ed è capace di comportare esplosioni. Il carattere agonistico della filosofia è manifesto sin dalle origini e illustra l’eterno conflitto tra opposti originari alla base del processo cosmico: per Eraclito, la guerra è la madre di tutte le cose; secondo Empedocle, sono l’inclinazione (in greco philia) e il dissidio (in greco neikos) i due principi fondanti del mondo e delle sue logiche.
Ecco che il pensiero di  Byung-Chul Han sembra mettere noi e la società in cui viviamo sotto una lente di ingrandimento per offrirci un’immagine poco rassicurante della nostra realtà e pungolarci al compito di ripensarla.
La società neoliberista è caratterizzata dalla coazione alla produzione e al consumo, che allontana gli uomini dall’indugiare tipico della pratica rituale e simbolica del symballein, che riunisce le persone e crea un legame, una totalità, una comunità.
Il regime neoliberista conduce a una “comunicazione senza comunità”, isolando ciascun individuo e facendolo diventare produttore di se stesso.
Produrre deriva etimologicamente dal verbo latino producere, che significa esibire, rendere visibile. Ognuno esibisce se stesso per ottenere maggiore attenzione. La cosiddetta “community”, oggi evocata in ogni dove, rappresenta una forma merceologica della comunità. Il baccano della comunicazione produce e promette sempre più informazioni e la coazione a produrre e a essere performanti si esprime come coazione a comunicare.
La scomparsa dei simboli rimanda alla crescente atomizzazione della società e al contempo, a una società sempre più narcisistica. È l’autoreferenzialità narcisistica a costituire la prestazione:

I riti si sottraggono all’interiorità narcisistica e la libido dell’Io non vi si può agganciare dal momento che, se si concede loro, deve prescindere da se stessa. I riti producono una distanza da sé, una trascendenza da sé. Al contrario della percezione seriale che produce un deficit di attenzione, il rito con la sua ripetizione è un esercizio di profonda attenzione.

La coazione a produrre incrementa il pantano della routine e il vuoto. Si ruota su se stessi con un tormentoso senso di vuoto: per sfuggire al vuoto consumiamo sempre più cose nuove, nuovi stimoli ed esperienze. È proprio il senso del vuoto a trainare la comunicazione e il consumo. La comunicazione è costituita da camere di riverbero nelle quali sentire soprattutto la propria voce mentre si parla: I like, i friend e i follower rafforzano solo l’eco del sé.
Il filosofo attacca il culto dell’autenticità, destabilizzando una categoria che la filosofia di Heidegger aveva spinto a rivalutare. Celebre è infatti la distinzione heideggeriana tra autentico e inautentico, laddove l’inautentico finisce per coincidere con la chiacchiera impersonale:

Il dominio si compie nel momento in cui si spaccia per libertà. L’autenticità rappresenta una forma di produzione neoliberista. Ci si sfrutta da soli credendo di autorealizzarsi. Mediante il culto dell’autenticità, il regime neoliberista si appropria della persona e la trasforma in un sito produttivo ad altissima efficienza, cosí l’intera persona viene integrata nel processo di produzione.

Il culto dell’autenticità è, secondo Byung-Chul Han, un vistoso segno di decadimento: la società della messa a nudo assume tratti pornografici in cui lo spazio comune equivale a un palcoscenico, a un teatro.
L’ultimo paragrafo del saggio La scomparsa dei riti si intitola “Dalla seduzione al porno” e si concentra sulla sparizione di eros e incanto dal mondo. Le risorse erotiche nella cultura, quelle energie capaci di tenere insieme una comunità ispirandola con giochi e feste, vanno infatti sempre più esaurendosi.
Al tema dell’eros Byung-Chul aveva dedicato nel 2012 un saggio, sempre edito in Italia da Nottetempo, col titolo di Eros in agonia in cui denuncia l’incapacità odierna dei soggetti narcisisti di riconoscere l’Altro e di accettare la sua alterità. Nell’Altro si cerca soltanto la conferma di se stessi. L’autore in entrambi i saggi si sofferma sul tema filosofico per eccellenza, ovvero la morte. Byung-Chul Han fa esplicito riferimento al pensiero di Georges Bataille e alla sua formula secondo cui l’erotismo è accettazione e approvazione della vita fin dentro la morte, poiché ciò che viene messo in gioco nell’erotismo è sempre una dissoluzione delle forme costituite. Al contrario la società odierna della produzione è dominata dalla paura della morte. Bataille nella premessa al saggio L’erotismo scrive che lo spirito umano ha sempre paura di se stesso e che, seppure non è in grado di dominare ciò che lo spaventa, può però guardarlo in faccia.
Le società arcaiche non conoscono la netta separazione di morte e vita. La morte è un aspetto della vita, dal momento che la vita è possibile solo nel quadro di uno scambio simbolico con la morte in cui i riti d’iniziazione e i sacrifici rituali sono atti simbolici che regolano numerose transizioni tra vita e morte. L’iniziazione si configura come una seconda nascita che segue alla morte, la fine di una fase di vita: è la reciprocità, dunque, a caratterizzare il rapporto tra vita e morte.
Han riprende nel saggio lungamente anche una conversazione tra Michel Foucault e il regista Werner Schroeter, incentrata su erotismo e passione, su morte e suicidio, inteso quest’ultimo come atto di libertà:

La vita, sottomessa al diktat della salute, dell’ottimizzazione e della prestazione, equivale alla sopravvivenza. Le manca qualsiasi tratto di splendore, di sovranità, di intensità. L’autore satirico romano Giovenale l’aveva già riassunto con efficacia: “Et propter vitam vivendi perdere causas – rinunciare al senso della vita per restare in vita”.

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