Sirene

Sirene

 

di Sara Manuela Cacioppo, Giovanna Di Marco, Ivana Margarese e Erika Nannini

 

Immagini di Stefania Onidi

 

 

Mille sentieri vi sono non ancora percorsi, mille salvezze e isole nascoste della vita. 

Inesaurito e non scoperto è ancora sempre l’uomo e la terra dell’uomo. 

Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra

 

 Cerco sempre e ancora di comunicare qualcosa di non comunicabile,

 di spiegare qualcosa d’inspiegabile, di raccontare qualcosa che ho nelle ossa

 e di cui soltanto in queste ossa si può fare esperienza.

Franz Kafka, Lettere a Milena

 

Il terzo numero di Morel voci dall’isola è dedicato al mito delle Sirene. Nella Prefazione a Les mots et les choses, Foucault ricorda la classificazione degli animali riportata in un’antica enciclopedia cinese in cui tra le sei tipologie animali, le sirene si trovano al quinto. In effetti, la Sirena compare nel bestiario di moltissime civiltà come una creatura teriomorfa – metà umana, metà animale – come la Sfinge, le Arpie, i Centauri. Numerose anche le improbabili testimonianze sulla presenza delle sirene nei mari. Dal Quattrocento in poi si affollano segnalazioni dal Golfo di Finlandia alla Martinica, dal Mediterraneo alla costa atlantica francese, navigatori e popoli rivieraschi annotano il guizzare di strani esseri femminili che vengono talvolta addirittura catturati seppure in cattività non sopravvivono a lungo. Gli antichi Greci tuttavia non raffigurano le Sirene come metà donne e metà pesci, ma metà donne e metà uccelli. Le Sirene sono tali per la loro voce. Solo più tardi, la sirena perderà le ali per assumere quella coda squamosa da sinuosa donna-pesce, mostrandosi perfino “scilla”, cioè a due code, quasi a meglio esibire la propria sessualità. Ci si potrebbe domandare a questo punto come mai tutta la letteratura dibatta della voce delle Sirene e non del loro corpo, quasi facesse più colpo che cantassero, non che fossero due esseri in uno soltanto. Quando l’uomo era natura, la natura si univa all’uomo e nessuno dei due se ne stupiva. Poi ce ne siamo allontanati e niente e nessuno si è più sposato a metà con l’uomo. Eppure scrivere, come ricorda Anna Maria Ortese in Le Piccole Persone è cercare ciò che manca, “raccogliere tutte le voci di un evento che ci ha lasciati, e quando non le voci, i silenzi-scritti in ogni corteccia d’albero, in ogni dura pietra, quando non pure nelle risuonanti, sempre uguali narrazioni del mare”.

Diverse sono le etimologie del termine sirena, dal verbo greco syrizo, zufolare, fischiare, al sostantivo seira, corda, laccio, così che la sirena sarebbe soprattutto colei che avvince, lega. Il primo documento noto in cui si testimonia la loro presenza è l’Odissea (libro XII):

Tu arriverai, prima, dalle Sirene che tutti

gli uomini incantano, chi arriva da loro.

A colui che ignaro s’accosta e ascolta la voce

delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini

Gli sono vicini, felici che a casa è tornato,

ma le Sirene lo incantano col limpido canto,

adagiate sul prato: intorno è un gran mucchio d’ossa di uomini putridi, con la pelle che si raggrinza.

Perciò passa oltre: sulle orecchie ai compagni impasta e spalma dolcissima cera, che nessuno degli altri

le senta: tu ascolta pure, se vuoi:

mani e piedi ti leghino alla nave veloce

ritto sulla scassa dell’albero, ad esso sian strette le funi, perché possa udire la voce delle Sirene e goderne.

Se tu scongiuri i compagni e comandi di scioglierti, allora dovranno legarti con funi più numerose.

“Tu ascolta pure, se vuoi”, godi della loro voce, preclusa a ogni altro, dice Circe a Ulisse, ma a patto che ti venga impedito di raggiungerle altrimenti non tornerai mai a casa. Omero non ci racconta cosa cantarono le sirene a Ulisse, né noi conosciamo quale sia la natura di questo desiderio di avvicinamento.
Le sirene con la loro potente forza di attrazione incarnano uno spazio di attesa, ma anche la promessa di una sapienza interdetta ai mortali e segnano a livello simbolico la soglia tra conoscenza lecita e illecita, tra vita e morte. Non a caso le tradizioni greche al di fuori dell’Odissea raccontano delle Sirene come interpreti del canto funebre, il cui potere è stato attribuito dagli inferi, un sapere che si estende ai destini degli uomini e ai loro fini velati. Una seduzione dunque non legata solamente al corpo, ma che proviene dalla conoscenza. Scrive Agnese Grieco nel suo Atlante delle Sirene:

Scrivere di sirene significa ascoltare, mettersi in ascolto.

– Così, almeno, è stato per me. –

In altre voci sono andata alla ricerca della loro voce.

Nella voce si intrecciano insieme sonorità, corporeità e relazione. Il pensiero di Julia Kristeva e Hélène Cixous ha sottolineato la valenza della voce come spazio antecedente al logos, inteso come discorso formalizzato, e come espressione di ritmo e piacere per la sonorità. Un ruolo fondamentale è da attribuire secondo Kristeva al repertorio dei gesti vocali (il pianto, la risata, il grido, l’urlo, il bisbiglio, il richiamo) denominati chora, termine preso in prestito dal Timeo platonico, dove il filosofo descrive l’universo come opera di un demiurgo che deve plasmare una materia informe sul modello delle idee eterne. Kristeva elabora il concetto di chora semiotica, un luogo di indistinzioni che è innanzitutto spazio di relazione tra madre e bambino in cui i soggetti non sono ancora ben differenziati e dove il bambino può scambiare comunicazione e affetto senza comunicare qualcosa sul piano semantico. Cixous parte anche dalla primitiva lingua materna e ricorda il suo desiderio di goderne mentre mangiava, anche a costo di non toccare cibo tanto rappresentava per lei un nutrimento essenziale. La filosofa parla di una lingualatte (languelait) capace di oltrepassare i limiti del simbolico di segno patriarcale per farsi materia, corpo narrante, musicalità gratuita e abbondante, dolce come il latte materno. Il senso si libera in una musicalità che non è disordine, tanto da farle dire che la verità che così si esprime canta intonata. Ecriture féminine è allora scrittura che libera questo senso musicale e materno.

La voce e la vocalità appaiono nella documentazione antropologica come interrelazione, segni che evidenziano e garantiscono l’ispirazione del profeta o della Pizia, testimoniando come attraverso quel corpo, attraverso quella voce, sia in qualche modo la stessa potenza divina a parlare. Vocalità è essere parlato da un altro.
L’illusione sirenica, provocata dall’ascolto del loro canto, consiste nell’andare oltre i propri limiti conoscitivi, in un tempo oscillante in cui passato presente e futuro si confondono.
Le sirene in questo loro essere una linea di congiunzione tra umano e animale, tra civiltà e primitivo, tra ragione e istinto, tra l’identico e l’altro, incarnano una seduzione fatale, se non esplicitamente assassina.
Apollonio Rodio nelle Argonautiche racconta che venne loro inflitta un’umiliazione da Orfeo, il cantore, che coprì il loro canto con il suono della sua cetra. Anche in questo caso fu uno stratagemma della ragione e della tecnica a fare soccombere le sirene. Smacco nei confronti di una appartenenza legata all’inconscio, a una sapienza sotterranea e oscura. E per questo ancora più dirompente e profonda. La tradizione occidentale ha quindi agito ponendo ai margini queste figure sapienziali come diverse e pericolose.
Nel racconto postumo La sirena (1961) di Tomasi di Lampedusa, Lighea incarna la fonte di ogni sapienza:

Ignara di ogni sapienza, sdegnosa di qualsiasi costrizione morale, essa faceva parte, tuttavia, della sorgiva di ogni coltura, di ogni sapienza, di ogni etica e sapeva esprimere questa sua primigenia superiorità in termini di scabra bellezza. ‘Sono tutto perché sono soltanto corrente di vita priva di accidenti; sono immortale perché tutte le morti confluiscono in me da quella del merluzzo di dianzi a quella di Zeus, e in me radunante ridiventano vita non più individuale e determinata ma pànica e quindi libera.

Peter Sloterdijk in Sfere scrive che ascoltare le sirene è ascoltar-“si” e al contempo sottolinea come la nostra società abbia dato nome di sirene a sistemi di allarme ossessivo, svilendo e strumentalizzando così la voce di queste figure e il loro antico commovente richiamo.

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