Utopia di Thomas More

Utopia di Thomas More

di Ivana Margarese

 

Il comandante Utopo, da non-isola, mi fece isola.
Solo io, tra tutte le terre, senza filosofia,
Ho prodotto per i mortali una città filosofica.

Thomas More, Utopia

 

 

Utopus me dux ex non insula fecit insulam”: questi versi dichiarano come Utopia sia isola grazie all’azione del suo fondatore Utopo, che fece tagliare un istmo di quindici miglia che univa l’isola al continente e aprire al mare un varco affinché circondasse la terra. In seguito attraverso la vita activa e razionale condotta dai suoi abitanti, non ad astrazioni filosofiche, l’isola ha prodotto una città filosofica. Un gesto di fondazione questo che può anche rimandare all’atto creativo della scrittura, attraverso cui l’autore pone l’isola nell’immaginario dei lettori.
La recente ripubblicazione di Utopia (1516) da parte di Mimesis sprona a riflettere su che valore abbia per noi oggi leggere la celebre opera di di Thomas More, il cui interesse va certamente ben oltre la memoria storiografica e suggerisce piuttosto un’attenzione verso ciò che la parola utopia indica. L’idea di utopia è infatti tornata ad avere un significato positivo anche nel senso comune, benché permangano sia il fraintendimento sulla sua impossibilità sia il sospetto sul suo legame con la distopia. L’isola degli Utopiani invita a ripensare l’insularità come metafora e offre un metodo di immaginazione politica per considerare come diversamente si potrebbe vivere. Utopia è, come scrive Martin Buber, “immagine del desiderio” (Wunschbild) ma è anche un indizio, un esperimento che muove dalla consapevolezza critica dei propri limiti.
L’isola “beata per innocenza e tale da condurre una vita in qualche modo celeste” si trova per More fuori dai confini del mondo conosciuto, prossima forse ai fortunati campi Elisi. Non tanto un luogo preciso, che come indica il nome stesso di ou-topia (non-luogo) appunto non c’è, quanto una direzione possibile verso una eu-topia, un “buon luogo”. Un luogo separato da ogni altra terra che può esortare a rivedere quanto si dà per scontato offrendo un orizzonte per vivere meglio. L’opera di More è attuale perchè rappresenta una rotta immaginaria, una proiezione di speranza e giustizia, che incita a rinnovare lo sguardo e a non considerare ciò che si vive come frutto di leggi immutabili.

Protagonista della narrazione è Raffaele Itlodeo, navigatore al “modo di Ulisse, o piuttosto di Platone”, il cui spirito è “più sollecito del peregrinare che del sepolcro. Non per niente Itlodeo ha sempre sulle labbra queste parole: “dal cielo è coperto chi non ha urna” e “da qualunque punto la via per lassù è sempre la stessa”. Raffaele Itlodeo dunque non aspira a possessi, riconoscimenti o amicizie potenti ma piuttosto a una ricerca libera, come lo stesso filosofo. L’intento etico e filosofico di giustizia e pace é presente infatti già dalle prime riflessioni quando l’autore parlando dei numerosi viaggi del suo personaggio e dei racconti sui costumi e le istituzioni di vari popoli osserva :

non c’è quasi luogo in cui non si possano incontrare Scille, Celeni rapaci, Lestrigoni addirittura populivori e altri immani portenti di questo genere, mentre cittadini governati da ragionevoli e sagge istituzioni non si trovano certo dappertutto.

Come Platone, More sottolinea che gli uomini sono per lo più avidi, bisognosi di  fama e prestigio, “invidiosi dell’altrui o vantatori del proprio”. Queste considerazioni tuttavia non lo inducono a rinunciare al tentativo di un miglioramento del vivere comune, ma al contrario lo spingono a indicare una rotta, attraverso quella che lui definisce “filosofia civile”, ovvero una filosofia capace di adattarsi alle circostanze e agire non soltanto in base a principi astratti. Platone nella celebre Lettera VII aveva già affermato l’importanza della filosofia per un rinnovamento politico:

In verità, non cessai mai di tenere sott’occhio la situazione, per vedere se si verificavano miglioramenti o riguardo a questi specifici aspetti oppure nella vita pubblica nel suo complesso, ma prima di impegnarmi concretamente attendevo sempre l’occasione propizia. Ad un certo punto mi feci l’idea che tutte le città soggiacevano a un cattivo governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona dose di fortuna, si trovavano in condizioni pressoché disperate. In tal modo, a lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da essa viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello pubblico che privato. I mali, dunque, non avrebbero mai lasciato l’umanità finché una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme cariche dello Stato, oppure finché la classe dominante negli Stati, per un qualche intervento divino, non si fosse essa stessa votata alla filosofia .

 

Il metodo proposto da More differisce tuttavia da quello platonico e propone un approccio “obliquo” che faccia in modo che ciò che non si può volgere in bene diventi tuttavia il meno cattivo possibile. La descrizione del popolo degli Utopiani inoltre muove concretamente dal confronto con le abitudini del nostro mondo:

Gli Utopiani, infatti, si meravigliano che possa esistere un mortale che si compiaccia del dubbio splendore di una gemmula o di una pietruzza, quando gli è possibile ammirare una stella e persino il sole, oppure che sia tanto forsennato da ritenersi più nobile a causa di un filo di lana più sottile, quando quella stessa lana (per quanto sottile sia il filo) un tempo era stata portata da una pecora, che non per questo era qualcosa più di una pecora.

More sviluppa uno stile aperto all’effetto vivificatore dell’ironia in cui i comportamenti degli Utopiani non sono tanto esempio da seguire ma indicazione di una condotta possibile, in grado di ampliare il nostro sguardo all’inclusione delle differenze al fine di vivere più felicemente. La virtù sull’isola non si rifà a rigidi precetti ma risiede nel vivere secondo natura e nel porre attenzione a non assecondare i propri agi causando disagi ad altri. La felicità, allo stesso modo, non sta nell’inseguire falsi piaceri o nella presunzione e illusione di superiorità rispetto ai propri simili ma viene raggiunta da tutti i cittadini, e da tutti, parallelamente, non solo la cura dell’anima ma anche il servizio del corpo deve essere preso in carico, attraverso l’unione tra gli abitanti in un vincolo di servizio reciproco.
La differenza nelle posizioni viene mantenuta anche attraverso il confronto costante nel corso del racconto tra Itlodeo e More, le cui opinioni pur non essendo identiche riescono a dialogare senza che nessuno metta a tacere l’altro. Leggere Utopia pertanto sollecita un ampliamento di sguardo e fa umilmente immaginare che se così è non così per necessità e uso debba essere, dal momento che  possono esistere diverse condizioni e il fine a cui tendere non è tanto conservare lo status quo quanto piuttosto avvicinarsi a una condizione di benessere che coinvolga e non escluda. Un approccio obliquo per prove ed errori che cominci dagli uomini più che dalle idee, un’isola che non per filosofia ma per giustizia realizzi un luogo filosofico in cui vivere insieme.

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