Blind

Blind

di Ivana Margarese

 

La tua fotografia è, per chi sa veramente vederla,

una registrazione della tua vita

Paul Strand

 

Abbandonata da tutti

Io sono un’isola

Io sono un’isola e sono sola.

Rainer Maria Rilke, La cieca

 

Cieco è colui che non è capace di vedere, il soggetto dell’equivoco o dell’errore. Cieco è colui che viene ingannato o si inganna. Nel mito greco Edipo si acceca per non avere visto la verità che lo riguarda e Perseo vede senza essere visto quando guarda di lato per recidere la testa e lo sguardo di Medusa. Blind (New York, 1916) è il titolo di una celebre opera di Paul Strand e al contempo una delle immagini più note della storia della fotografia capace di raccontare, attraverso il medium fotografico, della grande trasformazione che animò l’Europa e il Nord America nel primo decennio del Novecento. La fotografia e la sua riproducibilità cambiano in modo profondo e rivoluzionario l’immaginazione nel mondo moderno e ne accompagnano il processo di democratizzazione e demistificazione: ogni oggetto o condizione esprime una sua bellezza e può essere fotografato e riprodotto. Susan Sontag nel saggio L’America in fotografia scrive del manifesto culturale di Walt Withman e del suo tentativo di guardare al di là delle differenze tra bello e brutto, tra importante e banale: ogni parte del mondo conserva una bellezza latente che può essere svelata.

Quest’opera di Strand fu realizzata dal fotografo a New York nel 1916 con una fotocamera dotata di un finto obiettivo che gli consentiva di scattare foto senza alcun interazione con il soggetto che non si accorgeva nemmeno di essere fotografato. L’immagine viene pubblicata nel 1917 nell’ultimo numero della lussuosa rivista d’arte Camera Work guidata dalla personalità di Alfred Stieglitz, “impegnato a redimere il mondo con la sua macchina” e compagno della pittrice Georgia O’ Keeffe, da lui peraltro più volte fotografata. In questi anni la fotografia comincia a acquisire maggiore consapevolezza del suo ruolo a livello culturale e della sua specificità tra le arti e a difendersi dall’accusa di impostura: non c’è abbastanza lavoro nella creazione di un’immagine che proviene dalla semplice pressione di un tasto. Camera Work con le sue riproduzioni di alta qualità affiancate a testi di intellettuali celebri racconta nei suoi cinquanta numeri, pubblicati dal 1903 al 1917, l’ambizione della fotografia a esprimersi come arte e come visione del mondo.

Strand, che fu uno dei maggiori esponenti della Straight Photography, era solito riprendere la frase di Thoreau: “Non puoi dire di più di quello che vedi”. Blind è in effetti un’immagine essenziale, gli elementi al suo interno sono pochi: il volto asimmetrico, coperto da uno scialle, gli occhi, il cartello che informa della condizione di non vedente della donna, la targhetta in metallo ovale della licenza da ambulante con il numero 2622. Questo ritratto ravvicinato di una mendicante cieca offre tuttavia lo spunto per riflettere sull’enigma della visibilità e ripensare il dettaglio come luogo di significazione. L’immagine di questa donna che porta appeso al collo un cartello bianco con la scritta BLIND è veicolo di un messaggio sociale, ma anche di qualcos’altro. La visione del particolare ci rivela, come scrive John Berger in Capire una fotografia nel saggio dedicato a Paul Strand, “l’intero corso di una cultura o di una storia che, come sangue, fluisce attraverso quel dettaglio”. Questa fotografia, al di là della storia del singolo soggetto, sembra lanciare una sfida palesando la stessa nostra cecità e facendo della fotografia un emblema di nuove possibilità di visione. Sembra dire a chi guarda: adesso vi rivelo ciò che è sfuggito ai vostri occhi ciechi. Il cartello al collo della donna potrebbe essere un ironico e paradossale monito per lo spettatore, un invito a guardare meglio, e lei un’immaginaria Medusa (Μέδουσα da μέδω, “proteggere”) a guardia di una soglia. Scrive Susan Sontag:

L’apoteosi della vita quotidiana è il tipo di bellezza che solo la macchina può rivelare – un angolo di realtà materiale che l’occhio non vede o non riesce normalmente a vedere (…). Bello divenne ciò che l’occhio non può vedere (o non vede): quella visione frantumata e dislocata che solo la macchina può dare.

Nella cultura greca e nella cultura biblica il cieco è un testimone, deve attestare la verità, come veggente, poeta, o come uomo guarito dall’intervento divino. Tiresia è il veggente greco, diventato cieco per avere visto ciò che non bisogna vedere: l’accoppiamento di due serpenti, o forse la nudità della dea Atena, se non addirittura lo sguardo penetrante della Gorgone. Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù afferma di essere venuto in questo mondo affinché coloro che non vedono vedano e coloro che vedono diventino ciechi. Visione e conoscenza sono strettamente legati. La fotografia, scrittura di luce, è non soltanto uno strumento per conoscere le cose ma un mezzo che ha trasformato la visione in sé.

In un celebre ritratto fotografico, Sebastião Salgado ritrae una donna cieca tuareg. L’immagine è stata scattata nel 1985 in Mali ed è nota anche per avere dato avvio all’interesse di Wim Wenders per Salgado, come il regista stesso racconta ne Il sale della terra, il film dedicato al fotografo. Questa fotografia non mette in scena alcuna dissimulazione ma manifesta una bellezza struggente, quasi lirica. La donna, nonostante la sua cecità, si mostra consapevole dello scatto, ha una posa composta ed elegante, quasi classica. La sua cecità interpella il nostro dolore, scava nell’incomprensibilità delle nostre stesse vite, sembra rivelarci un mistero a cui noi stessi partecipiamo. Anche lei guardiana di una soglia che abbiamo già oltrepassato.

 

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