La tomba di Antigone di Maria Zambrano

La tomba di Antigone di Maria Zambrano

di Ivana Margarese

 

E tra tutte geme Antigone, la sepolta viva.

Non possiamo evitare di sentirla tra le fessure della sua tomba.

Continua a delirare, speranzosa giustizia senza vendetta, chiarità inesorabile, coscienza vergine sempre in veglia. Non possiamo evitare di sentirla perché la tomba di Antigone è la nostra coscienza ottenebrata.

Antigone è sepolta viva dentro di noi, in ciascuno di noi.

Maria Zambrano, Delirio di Antigone

 

A volte accade ci siano personaggi significativi nel percorso creativo di un autore, Antigone lo è certamente nel pensiero e nel sentire di Maria Zambrano. Antigone, la fanciulla condannata a essere sepolta viva per avere reso al fratello gli onori dovuti ai morti, occupò un arco di tempo di circa vent’anni nella riflessione della filosofa spagnola. Promessa al cugino Emone, figlio di Creonte, il tiranno e zio che le impone una morte tanto crudele, la fanciulla greca non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di se stessa. Scrive Zambrano ne Il delirio di Antigone (1948):

Ma ecco  una fanciulla, Antigone, che non ebbe neanche il tempo di soffermarsi su se stessa; scossa dal suo sogno di bambina dall’orrore del crimine paterno entrò nella pienezza della coscienza.

La tumba de Antìgona (1967) è un testo poetico e filosofico complesso e originale come lo stile della stessa Zambrano, la cui cifra essenziale si esprime nella riconciliazione tra poesia e filosofia, nella aspirazione a un sapere che superi l’astrazione e raccolga le urgenze della vita. Quest’opera di riscrittura è dedicata alla sorella Araceli e all’antropologa Laurette Séjourné, autrice del saggio L’universo dei Quetzalcoàt, in cui viene ricordato il valore della figura del serpente piumato, unione fra oscurità della terra e luce del cielo e richiamo alla condizione aurorale dell’uomo, cara anche a Nietzsche, nella sua tensione verso il divino. Anche Antigone, per la filosofa spagnola, alla maniera dell’aurora nel suo sacrificio manifesta la sua essenza nel dover andare oltre se stessa, in una purezza che non può fissarsi in alcuna forma compiuta:

Antigone, in verità, non si suicidò nella sua tomba, come Sofocle, incorrendo in un inevitabile errore, ci racconta. E come poteva, Antigone, darsi la morte, lei che non aveva mai disposto della sua vita? Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di se stessa.

Il testo di Zambrano intreccia la voce di Antigone con le voci di molteplici figure, l’ombra della sorella Ismene, la prima a incontrarla, il padre Edipo, la nutrice Anna, Eteocle e Polinice, Emone, Creonte. Antigone è intrappolata dai fili tragici della sua storia e della sua città, Tebe. Questi lacci che le hanno impedito di vivere le impediscono anche di morire: “del tutto, però, non se ne andrà mai, non vi lascerà mai”. Ecco che in opposizione sia a quanto narra Sofocle e sia alla vicenda del filosofo nella caverna platonica, Antigone per Maria Zambrano entra nella tomba non per darsi la morte ma per rinascere.

Il primo interlocutore nella scena è il Sole, il Sole dei vivi e della Terra, che tortura la ragazza ricordandole al contempo la sua vita non vissuta e il suo non essere ancora morta. In questo spazio di pietra, sola nel silenzio e nella tenebra, Antigone dolorosamente si risveglia, comprende di essere stata sin dalla nascita prigioniera di padre, madre, sorella, fratello e fratello:

Adesso il Sole non splende più, e comincia a essere chiaro, tanto chiaro. Che chiarore senza lucentezza, meglio così, il Sole non lascia vedere, si sta facendo tutto così chiaro.

L’idea – il sole del mito platonico della caverna – soffoca, nella interpretazione di Zambrano, la verità e restringe in definizioni il suo essere ineffabile come la vita. Nel suo lasciare le ombre il pensiero si fa diafano, esangue, come il sapere ambizioso di Edipo capace di dare una risposta corretta all’enigma della Sfinge, che nel suo essere generale tuttavia non serve al compito di più autentico di rivelarlo a se stesso.

Importante nell’opera è il dialogo con Edipo, quel padre preoccupato sempre e soltanto per sé, che, cieco, è stata lei, Antigone, come racconta Sofocle in Edipo a Colono, a condurre per mano. Un uomo che ha sempre corso senza mai muoversi dal posto in cui era. Una radice che si è inerpicata rimanendo radice. Bambina, la chiama, Edipo, colui che viene descritto come un sogno, un personaggio irrigidito nel suo essere re prima ancora di essere uomo, dimentico di se stesso, dimentico della moglie, dei figli. Tutto in lui appartiene a un progetto di gloria con cui si immagina il più felice tra gli uomini sotterrando la sua storia, il suo stesso essere stato abbandonato e la sua incapacità di rimanere solo. La condizione di esilio che Zambrano vive a Parigi la avvicina a Antigone,  travolta anche lei da una storia di guerra e di potere. L’eredità che Edipo lascia ai figli, Eteocle e Polinice, è la sopravvivenza del conflitto per la gloria, una violenza incapace di reciproco riconoscimento che la pietà di Antigone vuole seppellire con il corpo del fratello insepolto:

I mortali devono ammazzare, pensano che se non ammazzano non sono uomini. Li iniziano così, prima con gli animali, con il tempo, e con quel granello di purezza che portano dentro, poi con gli altri uomini. nemici, patrie, pretesti non mancano mai. Credono che ammazzando diventeranno i Signori della Morte… per questo c’è tempo, tutto il tempo che serve. Per vivere no, non c’è tempo.

La grandezza di Antigone è frutto della sua capacità di accettare la tragedia e di interpellarla con coraggio, addentrandosi nella propria intimità e nella propria storia, resistendo alla tentazione di “strapparsi via le viscere per ricominciare dal nulla”. L’Aurora non è solo annuncio del giorno, ma è attraversamento della notte e sacrificio di sé per la creazione di qualcosa di nuovo. Antigone va di ombra in ombra, attraversandole tutte, dando luce a una storia senza separazioni: “perché io ho fiducia solo in quella luce che si accende dove maggiore è l’oscurità, facendo di essa un cuore”.

 

5 Comments
  • Ilaria Calloni
    Posted at 16:22h, 09 Febbraio Rispondi

    Bellissimo articolo, appassionante. e ricco di spunti di riflessione.. Non conosco l’autrice ma leggero il testo

    • Ivana Margarese
      Posted at 16:25h, 09 Febbraio Rispondi

      Grazie mille!

  • Giulia Ghirardini
    Posted at 19:38h, 01 Marzo Rispondi

    Per Ivana Margarese.
    Le sono grata per il contributo sul testo di Zambrano luminoso nella forma e illuminante sull’opera. In proposito ho rivisto e segnalo a Calloni i riferimenti nello scambio di lettere tra Elena Croce e Maria Zambrano raccolte nel testo “A presto, dunque, e a sempre” a cura di Elena Laurenzi, edito da Archinto 2015

    • Ivana Margarese
      Posted at 21:35h, 01 Marzo Rispondi

      Grazie, gentilissima.
      Il testo che segnala è molto bello, ne faccio riferimento nell’ introduzione di una raccolta di saggi da me curata è dedicata all’amicizia tra donne.

  • Ilaria Calloni
    Posted at 09:36h, 26 Marzo Rispondi

    Grazie mille!

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