Favole dal secondo diluvio

Favole dal secondo diluvio

di Giorgio Maria Cornelio e Giuditta Chiaraluce

a cura di Ivana Margarese

 

Morel, voci dall’isola propone la figura di Medusa come immagine pervicace di metamorfosi nel suo alternarsi tra vita e morte, tra morte e vita, capovolgendo una lettura monoculare che resta ferma al terrore senza giungere ad alcuna genesi. Come Pegaso, il cavallo alato, nasce dal taglio della testa di Medusa, così le favole di Giorgiomaria Cornelio e Giuditta Chiaraluce raccontano di un secondo diluvio, di un nuovo inizio, capace di far transitare i nostri punti di vista. Questo incontro ha condotto a un dialogo tra me e Giorgiomaria Cornelio su questo progetto, introdotto qui da un breve estratto del testo Favole del secondo diluvio:

Il nubifragio ha voluto piantare l’albero sottosopra, il ciliegio o pino o mandorlo cavo, perché vi si passasse in mezzo, tra fessurine, tra rami che disdicono la terrestre loro provenienza. Noi non dimentichiamo la città oltre l’albero. Abbiamo disubbidito al compito di scendere, all’inno color argilla: le piante sono cadute per noi, giù dal fosso in cui rincucciavano dietro l’incastro di foglie, patena somigliante a nuvole. Mettiamo le mani nell’unguento che fu primitivo diluvio, facciamo tramontare la saliva tra i piedi, riposiamo da questo lato della frasca, del vento.

Per la scala sublunare mancano radici, e pioli sassosi. Ma dove manca pietra, la prima pietra o ombelico, noi costruiremo una fornace, affinché tutto sia fatto per bruciare. Portate allora le cose a salire per le lunghe ciminiere del sangue. Midollo, alburno e durame sono profondità giranti, costoni cuciti insieme dai quali ci sporgiamo sulla nostra sete di tempo. Conosciamo solo l’altitudine ­di questo mondo, e non ci basta più.

 

Vorrei sapere come nasce il progetto delle Favole dal secondo diluvio

Le Favole dal secondo diluvio sono state concepite durante un evento di teatro-poesia (I fumi della Fornace), innestato in una piccola frazione marchigiana: Valle Cascia. Questo paesino di 400 abitanti è improvvisamente divenuto un laboratorio di riedificazione immaginale, un tentativo – in presa reale- di ricostituzione del mondo, e dunque una formula insieme duratura e solubile. Ogni favola è l’arrovescio del luogo di partenza: il parco di querce secolari, la fornace di mattoni, le vecchie fonti in disuso… tutto portato a seconda vita. Favoloso è proprio questo spiegamento di possibilità che aureola le cose, restituendo evidenza a ciò che non riusciva più a mostrarne. Giuditta Chiaraluce non si è limitata a illustrare le varie favole, ma ha accolto le figure nella loro concretezza operativa: curiosamente, proprio la letteralità dei suoi disegni è quanto permette di sorprendere il testo. Saper orchestrate le immagini è una disciplina severa, perché ciò che andiamo costruendo per mezzo di esse ha un risvolto effettivo sul mondo. Proprio qualche giorno fa leggevo un passaggio di John Byrom, un poeta inglese del XVIII secolo che ammoniva contro lo scadimento dell’idea dell’immaginazione. Lo voglio riportare qui:

«L’immaginazione, benché sembri un’inezia / Gravida di conseguenze, prolifera la sua stessa creazione. / Crediamo che desideri e vagheggiamenti siano un gioco / e cosi dissipiamo facoltà di gran momento! Sono taglienti gli strumenti coi quali cosi ci trastulliamo / E scalcano per noi realtà profonde»

E scalcano per noi realtà profonde! Ecco la nostra responsabilità davanti alle immagini…

 Nel testo c’è un richiamo ai rami, alle radici, alle profondità e alle altitudini una metamorfosi continua del punto di vista. Potresti dirmi qualcosa in proposito?

Le Favole sottolineano il radicale ermafroditismo del movimento immaginativo: il suo costante ficcarsi dove non è richiesto, nel pieno di ogni sprogetto. Un tale movimento non fa uso di identità̀ alcuna, ma le disarma tutte, inseguendo quella che è forse la condizione primaria di ogni vicenda metamorfica: il discendere verso una regione ignota, il portare l’immagine di sé al mancamento. Sapersi non compiuti o mal-formati è una delle nostre ossessioni più frequenti: invece che farne il centro di una sciatta superstizione generazionale, bisognerebbe considerarla il punto di partenza, ciò che disinnesca l’inerzia della prima natura -del naturalismo- per iniziarci all’inumano – ovvero per compenetrarlo. «Rami, radici, profondità, altitudini»… non soltanto assistiamo a questa mescola di forze che è il mondo: siamo questa mescola.

«E il diluvio, la bibbia bianca?» «Avrebbe dovuto lavare via tutto. Ma per favore, non
discorriamone mai più». Questa è la conclusione di Favole: quasi un invito a dimenticare o a non pronunciare più alcuna parola…

…oppure uno scongiurare l’idea dell’estinzione, fenomeno che tormenta la nostra immaginazione come un «miasma». Sarebbe più interessante muoversi altrove: produrre insorgenze contro il morire del giorno, abbattere il paravento che separa i diversi tempi, risvegliare quanto si credeva defunto attraverso quella che da qualche tempo chiamo un’archeologia del possibile. La conclusione delle Favole è anche un invito ad evitare le lusinghe dell’attualità: prestare giuramento al mondo non significa sposare una quotidianità straparlata, ma piuttosto lacerare il tessuto del presente affinché il transito delle immagini diventi più agevole.

Questo pensiero caratterizza tutto il progetto delle Edizioni Volatili, concepito con Giuditta Chiaraluce a partire dalle Favole. Ogni libro è un’arca, un uovo, «il minimo necessario ad un ricominciare», come direbbe Gilles Deleuze a proposito delle isole deserte. Isola e isole sarà anche il nome della seconda collana delle Edizioni Volatili…

 

 

Biografie

Giorgiomaria Cornelio (Macerata, 1997) ha fondato insieme a Lucamatteo Rossi l’atlante “Navegasión”, inaugurato con il film “Ogni roveto un Dio che arde” durante la 52esima edizione della “Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro”. È curatore del progetto di ricerca cinematografica “La Camera Ardente”, e redattore di “Nazione Indiana”. Suoi interventi sono apparsi su “Le parole e le cose”, “Doppiozero”, “Il tascabile”, “Antinomie” e “Il Manifesto”. Ha vinto il “Premio Opera Prima” e il “Premio Bologna in Lettere” con con la raccolta “La Promessa Focaia” (Anterem), ed è stato finalista al “Premio Montano”. Studia al Trinity College di Dublino.

 

 

Giuditta Chiaraluce è nata a Montecassiano (MC) il 12 agosto 1966. Collabora con la casa editrice Quodlibet, Giometti e Antonello, Affinità Elettive, la rivista del Touring. Cura l’immagine per il festival di teatro indipendente Utovie Teatrali di Macerata, per il Festival di Storia Contemporanea di Ancona, per la Rassegna Estiva di Nuova Musica e altri eventi culturali. Ha ideato il progetto di esoeditoria Edizioni Volatili insieme a Giorgiomaria Cornelio.

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