LE PORTE DEL MITO. IL MONDO GRECO COME UN ROMANZO. DIALOGO CON MARIA GRAZIA CIANI

Le porte del mito. Il mondo greco come un romanzo

Dialogo con Maria Grazia Ciani

DI GIOVANNA DI MARCO

Le nuvole non ci sono sempre, ma possono esserci spesso. Viaggiano e si trasformano: possono assumere le forme che vediamo in un modo solo nostro. E poi, nelle loro migrazioni, si trasformano ancora. Inauguriamo quindi la sezione Nuvole che si occuperà di ekphrasis, ovvero della descrizione in parole delle opere d’arte. Lo facciamo con un’intervista alla professoressa Maria Grazia Ciani, autrice de “Le porte del mito. Il mondo greco come un romanzo”, pubblicato da Marsilio, coniugandola con il tema di questo primo numero della rivista dedicato al mito di Arianna.

Professoressa Ciani, il suo ultimo libro è volutamente non filologico e viene definito da lei come una sorta di evasione; già dalle prime pagine, però, ribadisce ciò che a un filologo non può sfuggire, ovvero l’approfondimento e la dimostrazione. Lei scrive: “Il greco antico, a distanza di secoli, continua a negarsi, sfugge come un serpente, si mimetizza, manovra il lessico come un gioco ai dadi”. Immergersi in questa lingua è forse come attraversare un labirinto?

«In un certo senso lei ha ragione: addentrarsi in una lingua morta è come entrare in un labirinto da cui talvolta si può uscire, talvolta no. Mi spiego: una lingua morta non reagisce, non risponde, non fornisce prove: tutto è affidato alla scienza filologica. Ma la scienza filologica non sempre è in grado di risolvere certi problemi posti dal lessico, dall’insieme di un’espressione. La lingua greca antica ha senza dubbio come base Omero, ma ovviamente si evolve nel tempo e soprattutto, direi, “a scatti”: c’è un linguaggio omerico, un linguaggio tragico, e poi poetico, storico, retorico, filosofico e non da ultimo, medico. E ognuno si crea un proprio stile e un proprio linguaggio, attingendo alla base omerica, ma innovando e arricchendo la lingua stessa con termini nuovi. La mia impressione è che ad ogni autore si debba incominciare da capo, con prudenza, senza dare nulla per scontato: il lessico, per esempio, va controllato, certo termini assumono sfumature diverse a secondo degli usi. Per questo io ho affermato che questa lingua è sfuggente: è necessario esaminare – non ogni parola naturalmente – ma soprattutto determinati termini nel loro contesto e non in senso generale. E anche in questo caso, spesso non si arriva ad essere totalmente sicuri del vero significato e quindi comprendere che cosa volevano “dirci” gli antichi. Ribadisco però che questo non vale per tutta la lingua greca, ma per determinati usi di parole in determinati casi: per cui “labirinto” è forse una figura eccessiva, parlerei piuttosto di complessità nell’interpretazione, di difficoltà nel risolvere certe espressioni che rimangono enigmatiche e irrisolte».

Un capitolo del suo libro è dedicato alla prima ekphrasis della letteratura occidentale: la descrizione dello scudo di Achille che troviamo nel libro XVIII dell’Iliade. Nello scudo di Achille c’è il cosmo, comprese le vicende umane declinate in varie sfaccettature. Lo scudo realizzato da Efesto viene descritto in parole: il rapsodo, il poeta voleva forse rivendicare l’origine divina di un’arte (quella figurativa) affine al propria?

«Ma il rapsodo stesso rivendica l’origine divina del suo canto, ispirato dagli dei. Non ho riflettuto molto su  quello che lei mi chiede, ma credo di poter affermare che, sì, ogni arte per gli antichi Greci , nasce all’ombra di un dio. E approfitto per aggiungere che l’arte figurativa ha un’importanza fondamentale non ancora approfondita come dovrebbe essere, accanto alla tradizione puramente letteraria. L’unione dei due aspetti potrebbe dare ancora risultati sorprendenti».

La vicenda di Arianna è l’unico mito che troviamo sullo scudo di Achille, forse perché è uno dei più antichi. Di questo mito si possiedono molte versioni, ma, in ogni caso, Arianna è una figura che si presenta – come lei afferma -“muta”. Non ci pervengono tragedie che la vedono protagonista, ci appare a volte come donna sofferente e abbandonata (probabilmente perché la sua storia più celebre è stata costruita sul calco di quella di Medea), altre come dea. È questo enigma insoluto ad averla resa così interessante anche per la cultura moderna? E, in senso più ampio, forse esistenziale, siamo davvero impossibilitati a dare una risposta univoca in merito al mito un po’ come a ogni aspetto del nostro ‘esserci’ nel mondo? Eppure di Arianna ci rimane quell’immagine scolpita dalle parole sullo scudo di Achille…

«Questo è davvero un tasto delicato. Il mito è il vero labirinto in cui si entra ma non si esce mai. La tradizione raramente è univoca, le testimonianze differiscono, le datazioni sono incerte. Qui davvero è necessario un lavoro di équipe dove il filologo affianchi lo storico delle religioni, il mitografo, l’archeologo, lo storico dell’arte antica. A questo proposito mi permetto di segnalare (se è lecito) che la mia collega Monica Centanni, docente a Venezia e a Catania, sta progettando uno studio approfondito sulla figura di Arianna, con collegamenti internazionali e un ampio esame di tutte le fonti letterarie e artistiche. Io mi sono limitata a segnalare le incongruenze che caratterizzano questa figura in particolare, il suo fugace amore con Teseo e il legame con Dioniso (fortemente evidenziato nell’arte figurativa), il mistero della sua morte e dell’assunzione in cielo: un susseguirsi di eventi che in apparenza non sembrano logici, ma niente è logico nel mito. Quanto al fatto che l’enigma attiri di più, questo è ovvio e naturale, è come cercar di risolvere un giallo. Così accade per Orfeo ed Euridice, ma anche per figure celebri e tuttavia parzialmente inafferrabili, come ad esempio Odisseo. Lei ha ragione dicendo che questa incertezza nel dare spiegazioni e risposte riflette in parte anche l’intera nostra esistenza: ma questo avviene in ogni epoca».

Nel suo ultimo libro lei cita Arianna in un’altra occasione, ovvero in riferimento a un fumetto di Bepi Vigna e Andrea Serio dal titolo “Nausicaa, l’altra Odissea”. In questa riscrittura del mito, corredata da splendide immagini, Nausicaa è stata posseduta carnalmente da Odisseo e poi da lui abbandonata come lo fu Arianna da Teseo. Ma, a differenza di Arianna, Nausicaa non incontra un dio e decide di raggiungere Itaca dove Penelope le fa luce sulla verità di Odisseo, un uomo che si rivela infido e che la stessa Penelope ha cacciato di casa. Nel finale, Odisseo apparirà come “mendico cieco”, si trasformerà in Omero. Nel post – postmoderno (perdoni il neologismo azzardato) in cui viviamo, che ruolo possono avere le riscritture del mito?

«La riscrittura del mito, cioè la manipolazione dei dati rimasti, della lezione tràdita, è incominciata presto, naturalmente secondo lo spirito e le tendenze delle varie epoche. Oggi c’è una grande libertà nel cogliere certi aspetti e modernizzarli, sia da parte di scrittori che di registi. Talvolta i risultati sono sorprendenti anche se “lontani” dalla realtà antica, in altri casi la sostanza del mito si  perde in divagazioni troppo audaci o in proiezioni del proprio io quasi in forma autobiografica. Comunque sia io sono favorevole al continuo richiamo ai miti antichi perché sono la grande eredità della Grecia, la più ricca fonte di miti – e questo è sempre un segno di sopravvivenza oggi che il greco antico si studia sempre meno e le fondamenta del pensiero antico rischiano di scomparire minando, secondo me, le basi di tutta la cultura europea».

Nelle ultime pagine del suo libro, lei parla del “Poema a fumetti” di Dino Buzzati, una riscrittura del mito di Orfeo ed Euridice. La accompagna con una riflessione che mi ha particolarmente colpito e che ho prontamente sottolineato: “Forse è la vita a essere una favola, mentre la morte è la vera realtà”. È un caso che il libro si concluda con la figura di Orfeo?

 «Editorialmente sì, è un caso, la scelta della successione dei capitoli è dell’editore. Ma è vero che il mito di Orfeo mi ha sempre affascinato e, appunto, ne ho seguito con attenzione tutte le riscritture. Tuttavia, in questo caso, sono d’accordo con la soluzione data da Magris: c’è una verità impossibile da raggiungere, e anche questo è, come dice lei, un “aspetto del nostro esserci nel mondo”».

 

 

 

                                              

 

Maria Grazia Ciani
Nasce a Pola, ma lascia l’Istria con l’esodo del 1945.
Ha studiato a Venezia e a Padova, dove si è laureata nel 1962 con Carlo Diano in letteratura greca. Si è diplomata in pianoforte e composizione presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Nel 1980 ha vinto la cattedra di prima fascia nel gruppo di letteratura greca, assumendo l’insegnamento di Lingua e civiltà greca e in seguito di Storia della tradizione classica presso l’Università di Padova. Si è occupata soprattutto di epica e di tragedia, e ha studiato la sopravvivenza dei miti letterari e iconografici nelle letterature e nell’arte dell’Occidente. Presso la casa editrice Marsilio ha fondato e diretto fino al 2006 la collana di classici greci e latini «Il convivio» (nell’ambito della quale ha tradotto l’Iliade e l’Odissea) e fino al 2014 la collana «Variazioni sul mito», per la quale ha curato i volumi dedicati a Medea, Antigone, Fedra e Orfeo.

 

 

1 Comment
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    Posted at 01:14h, 14 Ottobre Rispondi

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