Dedalo degli esploratori. Intervista a Filippo Tuena

Dedalo degli esploratori.

Intervista a Filippo Tuena di Ivana Margarese

 

 

Ultimo parallelo è un libro intenso e raffinato, ricco di rimandi che a mio parere meriterebbero uno studio approfondito. Quando hai sentito l’esigenza di cominciare a raccontare questa vicenda, realmente vissuta, e scrivere di una spedizione che è al contempo piena di speranza e senza speranza.

FT – Accadono cose strane nella vita, le passioni emergono e vengono sommerse da altre passioni; ci si guarda indietro e in realtà si sta esplorando il futuro. Ho qualche punto fermo sulla genesi del libro. Un’antica passione coltivata durante il ginnasio (1968-69) per alcune pagine del diario di Scott inserite in un’antologia scolastica. Circa vent’anni dopo i pony di Scott riapparvero in un mio poemetto un po’ incerto, un po’ acerbo ma evidentemente precursore. Poi nel 2005, poco dopo aver pubblicato le ‘Variazioni Reinach’, parlando con un amico pittore, Andrea Fortina, pensammo di fare una mostra sugli abiti estremi, indossati da personaggi famosi al momento della morte o per la loro sepoltura. Mi ritornò in mente Scott e andai a cercare le fotografie della spedizione. La mostra non è stata mai fatta ma le immagini hanno prodotto il libro. Questo è il dato fattuale, contingente. Perché io mi sia immerso in questa esplorazione antartica, esplorazione totalmente letteraria e non geografica, è cosa che francamente non so. Attiene alle pulsioni che determinano la scrittura, sono questioni interne, del subconscio o persino dell’inconscio. C’è il desiderio del rischio, di mettere ogni volta in discussione il proprio ruolo di narratore. Di solito son cose che si svelano a mano a mano che si scrive il romanzo e trovano la risposta alla fine.

Il romanzo è costellato di fotografie che mostrano i protagonisti e i luoghi del viaggio. Ogni tanto guardando i loro volti mi è venuta in mente una frase di Barthes ne La camera chiara “ io fremo per una catastrofe che è già accaduta”.

FT – Tutto questo libro mette in discussione il canonico scorrere del tempo. Per intenderci quello rettilineo, che precede o segue il presente. E’ il ruolo del lettore, non tanto come l’ho programmato ma come s’è espresso mano a mano che la stesura procedeva a esigere un traiettorie oblique, che attraversano percorsi rettilinei e intersecano questa determinata ma totalmente inattuale rotta antartica degli esploratori. Davvero irragionevole, poiché da un luogo, sia pure aspro, come la base di capo Evans, quella rotta va verso il nulla, il punto zero, non identificabile con nulla. Dunque le cose sono accadute, si conosce l’esito, ma le si seguono come se l’esito non fosse così scontato, poiché per il lettore è essenziale non tanto che si arrivi al parallelo 90 ma come ci si arriva. l’incertezza del ‘come’ garantisce il ‘fremito’ per la ‘catastrofe’ di Barthes. E’ una vecchia regola della letteratura. Non è importante cosa si racconta, ma come lo si fa.

Mi fa piacere che tu abbia ragionato sulle foto perché il ruolo che esse anno nelle mie narrazioni è essenzialmente quello di coinvolgere il lettore, metterlo di fronte alle medesime situazioni che ho provato scrivendo, renderlo partecipe. Oltre a quello di dire, guarda è così, queste cose non sono inventate, sono accadute davvero. Io, semplicemente, le racconto nel miglior modo di cui sono capace.

In The Waste Land Thomas S. Eliot scrive :– Ma chi è quello che ti sta dall’altra parte?

Tu noti giustamente nel romanzo che a inquietare e disorientare il lettore sia non tanto il chi sia che compaia ma il fatto che compaia “on the other side of you”, al suo fianco, perché appare evidente che il poeta sta parlando a se stesso che procede in compagnia di qualcosa o qualcuno che non gli si rivela.

FT – Ecco, il come si racconta in ‘Ultimo parallelo’ è determinato dalla voce narrante. Volevo accanto al lettore una presenza costante di un narratore che fosse identificabile ma sfuggente. Che sapesse più del lettore ma che fosse in qualche circostanza ignaro, come i capitani achei che Odisseo incontra nell’Ade. Essi ignorano le cose che accadono nel mondo. Ma conoscono il passato. Scrivendo mi sono accorto che ero io stesso, in qualche caso, a interpretare l’uomo in più. E’ pur vero che, verso la fine, mi sono reso conto di una sorta di presenza che ha accompagnato il mio lavoro di scrittura e che ha finito per accompagnare il lettore per tutto il tempo che costui ha tenuto il libro tra le mani.

Miraggi, fantasmi, apparizioni, sogni e Gradive popolano i tuoi romanzi. Il labirinto è un luogo in cui ci si trova irretiti, ci si perde e da cui forse è impossibile uscire ed è una figura che torna più volte in Ultimo parallelo e in altri tuoi romanzi.

FT – Nel sonetto CLXXVI Petrarca scrive la più sobria e moderna terzina della letteratura italiana:

Mille trecento ventisette appunto

Su l’ora prima, il dì sesto d’Aprile,

Nel labirinto intrai, nè veggio ond’esca.

Il labirinto di Petrarca è la passione per Laura. Il labirinto degli esploratori è la situazione senza sbocco nella quale si vengono a trovare a mano a mano che procedono verso sud o che una volta raggiunto il polo cercano di tornare in tempo alla base. Ho scritto il libro con un altro titolo in mente: ‘Dedalo degli esploratori’ e, non a caso, uno dei capitoli cardine del libro s’intitola ‘Nel labirinto’. Scrivere è percorrere labirinti. E’ essere pronti a tornare indietro se le soluzioni immaginate non si rivelano efficaci. Scrivere significa scandagliare caverne mai esplorate (toh, questo sarebbe un bell’argomento) e verificare, scrivendo, vie d’uscita o trappole impreviste. Lo scrittore onesto è un esploratore.

Vorrei fare riferimento adesso ad una figura mitologica femminile, Cassandra, colei che svela ciò che non può ancora essere appreso. A Cassandra spetta una delle sofferenze maggiori che può infliggersi a un essere umano ovvero di non essere creduta e riconosciuta.

FT – Il lettore sa che la spedizione finisce in tragedia. Il lettore non può fare nulla a riguardo. Semplicemente confrontare la sua esperienza con quella degli esploratori. La storia procede indipendentemente dalla volontà. Se dev’essere tragedia, sarà tragedia. La consapevolezza rende piuttosto la tragedia ancora più sofferta. Valuti gli errori, e valutando quelli di Scott finisci per valutare e soppesare i tuoi. L’identificazione non avviene mai sul piano ‘geografico’ (di gente che va al polo sud. Chi mai di noi c’è andato?). L’identificazione avviene sulla consapevolezza dell’errore (e chi di noi non ha commesso errori nella propria vita?)

Sempre nel romanzo a un certo punto citi il canto delle Sirene, creature di seduzione e inganno, in cui il desiderio si trasforma in disillusione: “ così che sono adesso i momenti perduti a perderti, quelli che pensavi avresti potuto godere alla fine dei viaggi nel tempo di riposo ed ecco, ti accorgi ora che quel tempo è in arrivo, e voi tutti perduti”.

FT – Qui interviene la malinconia del narratore, la nostalgia per la storia narrata. Tutto quel che si racconta è oggetto d’innamoramento (di qui la citazione del labirinto di Petrarca) e non riesco a pensare a nulla in scrittura che non sia sotto l’egida della passione. Il trasporto dello scrittore per la propria storia è un surrogato dell’eros. La scrittura è una forma d’innamoramento, turba e sconquassa quanto la passione erotica. E al tempo stesso inganna in maniera così efficace che tutto quel che si racconta sembra vivo. O, almeno così dovrebbe essere in un buon libro.

 

Nel libro scrivi che se anche basterebbe fermarsi e far passare il momento funesto per riprendere poi con maggiori attenzione c’è qualcosa che impedisce sempre di fermarsi. Trovo molto vera questa considerazione quasi che ogni volta che ci avviciniamo a qualcosa che ci causerà un danno in qualche modo ne avessimo una impercettibile coscienza ma nonostante questo presentimento andassimo comunque incontro a ciò che deve accaderci.

FT – Sofocle in Antigone, scrive:

“So di fare cose inopportune e a me sconvenienti.”

Tutti gli esploratori del Southern Party, da Scott a Dimitri, sono coscienti della sconvenienza di quella spedizione. Che sia una sconvenienza non soltanto economica, che comporti sofferenze non ripagate, o conoscenze non necessarie o poco utilizzabili, è cosa di cui vengono a sapere, secondo me, poche ore dopo che la Terra Nova li ha abbandonati ed è tornata a solcare le acque in direzione nord. Sono ormai coscienti che le sofferenze saranno molto superiori al profitto che potranno ricavare e che quand’anche si conquistasse la meta il riscontro non sarebbe adeguato. Del resto poco prima della partenza della Terra Nova Scott era stato informato della posizione di Amundsen – del fatto che avesse un centinaio e più di cani che la sua base fosse più vicina al polo. Scott per un anno intero SA di non poter vincere la sfida ed è evidente che a quel punto la gara non è contro i Norvegesi ma contro la debolezza del proprio corpo e la fragilità del proprio spirito. Scott e i suoi sanno di sbagliare ma ormai, come un corpo solido lanciato nello spazio, non possono fermarsi né tornare indietro. Tutta la spedizione è velata da questa consapevolezza di errore, di sconfitta.

“Ma occorre saper rinunciare a molto per cercare di possedere almeno poco, perché è bene ricordare che l’arte del narratore è ridurre, scarnificare, eliminare e sottacere perché quel poco che emerge posso assumere un peso rilevante”. Scrivere può considerarsi come nel caso dello scolpire una forma un’azione graduale di eliminazione di ciò che è superfluo? Come diceva Michelangelo, di “levare il soverchio” dal blocco.

FT – La mia regola di narratore è una sola. Non raccontare tutto quello che so, ma solo quello che serve. Molto spesso occorre togliere, occorre accennare, occorre suggerire. Mai spiegare. Non avere paura di creare vuoti. Non seguire sempre e comunque i propri personaggi. Ripeto, non tutto ma solo quello che serve. Beh, sì. E’ un insegnamento michelangiolesco.

 

 

 

Biografia

Filippo Tuena (Roma 1953) vive a Milano. Scrive libri. I suoi ultimi sono stati pubblicati dal Saggiatore.

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