Nathanael West: uno scrittore paradossale

Nathanael West: uno scrittore paradossale

di Dafne Munro

 

Non è facile descrivere la specificità originalissima di West, un autore geniale poco conosciuto che dovrebbe essere apprezzato da chiunque ami la letteratura americana e non solo. Possiamo solo dire che leggerlo è una esperienza unica e indimenticabile perché le situazioni e i personaggi surreali che ci propone con uno straordinario senso dell’umorismo e uno sguardo impietoso per le debolezze umane non solo strappano sorrisi ma inducono riflessioni, per la filosofia che esprime ogni personaggio nella propria disperata ricerca di una salvezza possibile.

Figlio di genitori ebrei tedeschi trapiantati negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi antisemite, Nathaniel von Wallenstein Weinstein ripudiò presto il suo nome per affrancarsi dalle sue origini. Amava raccontare che il suo amico, il poeta William Carlos Williams, suggeriva ai giovani di andare a Ovest, nel West, e lui così fece, assumendone perfino il cognome.

Nacque il 17 ottobre del 1903 a New York e morì ancor giovane nel 1940 in un incidente stradale insieme alla moglie, Eileen McKennedy, che aveva spostato pochi mesi prima.
Agli inizi degli anni Trenta i racconti di West erano pubblicati solo da piccole riviste e pagati pochi spiccioli.
In seguito non gli andò molto meglio, e per tutta la vita si rammaricò della cattiva fortuna, dello scarso successo e della mancanza dell’attenzione che era certo di meritarsi.
È considerato un autore di culto tra scrittori del calibro di Flannery O’Connor, Scott Fitzgerald, John Barth, Philip Dick, Thomas Pynchon e molti altri.

La trilogia che noi di Urban Apnea Edizioni pubblicheremo in occasione del “maggio dei libri” comprende i racconti: L’impostore, Il signor Potts di Pottstwon e L’avventuriero.
Più andavamo avanti nella traduzione dei racconti, più rimanevamo conquistati dalla contaminazione con lo spirito più profondo del capolavoro di Cervantes, così riteniamo che ciascuno dei tre racconti della trilogia è, a pieno titolo, un figlio degnissimo di Don Chisciotte, una sintesi perfetta della sua lezione.

L’Avventuriero è Joe Ruker, commesso di una drogheria la cui vita è guidata da una serie di pregiudizi. Su tutti spicca quello legato al valore delle persone basato sulle letture giudicate importanti, essenziali, più ostentate che approfondite; ed è esattamente questo il comportamento del nostro protagonista quando se ne va in giro con il libro della Poetica di Aristotele sottobraccio, il libro perfetto con cui è convinto di impressionare le persone, anche quelle che incontra accidentalmente e per pochi minuti. Immerso nelle avventure delle pagine lette, moltiplica le sue fantasie, le perfeziona, non ne può più fare a meno. Le ingigantisce e le vive a occhi aperti. E, come nel Don Chisciotte, le battaglie, le sfide, la caccia, e le imprese fino all’alto Monte Olimpo gli si conficcano nel cervello e gli restituiscono la realtà cambiata. Anche qui si mescola il finissimo umorismo di parti così comiche che suscitano risate ad alta voce, con la melanconia, senza mai raggiungere la totale frustrazione.
Joe si vergogna di suo padre, un vecchio portiere che cerca fugaci momenti di piacere frugando nell’immondizia, ma nel farne un ritratto impietoso si rammarica moltissimo, la colpa peggiore del genitore, il suo vero limite, è la mancanza di immaginazione, il padre non va oltre il dato sensibile che gli offre solo un effimero piacere immediato, non è in grado di operare il salto della fantasia e dell’immaginazione. Che se ne fa della boccetta di profumo se poi non riesce a immaginare la bella donna che ne ha indossato qualche goccia?

Anche l’Impostore, Beano Walsh, è un uomo di umili origini, la sua dimora è approssimativa e lercia, condivisa con due sbandati, una ex prostituta e la voce narrante, l’amico vagante dello pseudo scultore.
La lotta di Beano per affermarsi come scultore si dispiega in sequenze di crescente ilarità che toccano il culmine davanti all’ispettore di polizia e può, a pieno titolo, gareggiare con l’episodio dei mulini al vento. Il protagonista cerca per sé un personaggio da interpretare, e un significato per l’arte al cui mondo sente di appartenere quasi per accidente, pur sapendo nel suo intimo di non avere il minimo talento, ma crede con tutto se stesso di poter ingannare il mondo. Quando viene pressato dalla visita dell’agente che lo finanzia, dà il meglio di sé e proclama che l’arte moderna è tutta sbagliata perché si basa su testi di anatomia che hanno utilizzato le misure di un uomo la cui altezza non corrisponde a quella che secondo lui rappresenta l’ideale. La totale assenza di senso di realtà, l’attaccamento al cadavere, suo unico e vero bene acquistato sotto banco all’obitorio, la testardaggine nel perseguire un fine irrealizzabile, sono un’altra prova della grande ispirazione che West ha tratto dal capolavoro di Cervantes. Il narratore non a caso ci avverte che oggi come oggi essere pazzi diventa sempre più difficile…

Al contrario il Signor Potts è il cittadino più importante in città, un hidalgo in carne e ossa, proprietario di una fiorente azienda, e benché da fuori la sua casa appaia anonima e per niente un granché, dentro è stracolma di armi antiche e di tutti i sogni immaginifici del suo fantasioso abitante. Potts è perennemente combattuto tra la realtà quotidiana e confortevole tra le mura domestiche e la sua fantasia sfrenata che comanda un desiderio invincibile di avventura.
Il richiamo e l’ispirazione al capolavoro di Cervantes, già ben individuabile nei primi due racconti, qui diventa esplicito omaggio quando West per descrivere il carattere di Potts dice che è per metà Chichiotte e per metà Sancio, e che tra le due personalità che lo abitano c’è un dialogo serrato. Il precario equilibrio di Potts viene turbato dal suo antagonista, l’avvocato Sayles che gli ruba la leadership. A questo punto Potts decide di scalare una vera montagna in Svizzera e parte per il Palace Ritz Hotel. Qui dopo una serie di vicissitudini buffonesche e ridicole Potts scopre che nella realtà niente è vero, tutto è soltanto una finzione, la realtà è paccottiglia. E ritorna il tema dell’imbroglio, del millantare, del fingersi chi non si è sempre alla ricerca di un’avventura che renda la vita degna di essere vissuta, perché la prosa un po’ noiosa e monotona della quotidianità non è abbastanza e ha bisogno addirittura di epica.
Le scene più memorabili sono quelle più paradossali che i protagonisti dei tre racconti vivono con sentimenti acuti in un delirio di follia.

Biografia

Dafne Munro, appassionata di fantascienza, di epica e racconti brevi, nella vita fa l’insegnante ed è Co fondatrice con Dario Russo della casa editrice digitale Urban Apnea Edizioni nata nel 2014. Tra le cose che ama il vagare e le cene improvvisate.

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