Mnemosine

Mnemosine

di Gioacchino Lonobile

 

“La vita non è altro che un’attesa di qualcosa
che abbiamo già conosciuto e dimenticato
venendo al mondo, con il primo vagito”.
Parla, ricordo. Un’autobiografia rivisitata -V. Nabokov.

 

«La nebbia era bassa, radente l’asfalto. Se fossimo saliti sul tetto avremmo visto oltre, oltre quel muro bianco, in fondo, fino alle macchine in cima alle colonne dei rottami dello sfasciacarrozze; ma non avevamo un tetto sul quale salire e nemmeno una casa».
«Che vuol dire?» chiesi al vecchio.
«Niente, questo è un sogno» rispose.
«Un sogno?».
«Sì, un suo sogno».
«Sembra faccia freddo fuori, la nebbia…» dissi «Lo sente questo rumore? È come uno sfrigolio».
«È la terza sigaretta dell’insonnia che brucia tra le labbra di Oliveira; l’ultima cosa che ha letto prima di addormentarsi, ricorda?».
«Come fa a saperlo?».
«Conosco quello che conosce lei, ma io… io ricordo» disse il vecchio.
«Che valore ha questo “io” che lei ripete, se ogni personaggio sognato corrisponde al sognatore?» lo incalzai.
«Ha ragione, non ha nessun valore».
«È possibile avere una sigaretta da Oliveira?» domandai.
«No, ha smesso e ha smesso pure lei».
«È ora di svegliarsi?» se non lo avessi detto io lo avrebbe fatto il vecchio.
«Per far cosa? Si sta così bene a chiacchierare, meglio che star soli, no?» rispondevamo alternandoci, come se ogni volta fosse la prima.
*
«Mi appare di tanto in tanto un’immagine» dissi «Un ricordo molto nitido, uno dei più vecchi, se non il più vecchio che possiedo. Un’immagine che però ho ritrovato da poco nella mia memoria, come se fosse rimasta nascosta per lungo tempo sul fondo di un cassetto, e a cercare altro, a muovere e a mischiar cose, sia saltata fuori. Un’immagine statica, dai colori opachi che virano verso il rosa e mostrano una delle tante linee temporali possibili. A essere sincero, se potessi esprimere un desiderio, anche solo uno, chiederei di tornare in quel luogo e in quel tempo per rimanere bloccato lì per sempre, ma sono certo che arrestare lo scorrere del tempo, in qualche modo che non ci è concesso sapere, andrebbe contro la nostra stessa esistenza. Sente? Ancora quel rumore: lo sfrigolio» Oliveira stava troppo vicino ai miei pensieri.
«Continui, mi parli di questa immagine» mi esortò il vecchio.
«Dunque, in basso a destra, vedo la parte anteriore di un’automobile: la ruota leggermente storta, il parafango, una parte del cofano, fino allo specchietto. Era una Fiat 127 bianca, la prima auto che ricordo abbia avuto mio padre; era nuova, se non sbaglio non è stato un buon affare comprarla. Dietro l’auto c’è un muretto a secco che deve essere ancora completato, un mucchio di pietre stanno in un angolo pronte per essere sistemate. Ancora oltre si intravedono un paio di filari di viti rigogliosi di foglie. Doveva essere estate, sì, pensandoci era estate. Anche la strada è incompleta: una parte è ricoperta da detrito bianco, il resto è in terra battuta. Sul lato sinistro, un uomo sta con un braccio appoggiato a un palo, mentre con l’altro si regge il capo. Porta un cappello, pantaloni e scarpe da lavoro; la camicia, aperta sul petto e legata con un nodo alla vita, ha le maniche arrotolate sui gomiti. Era mio nonno, aveva i capelli bianchissimi già a quel tempo. Al centro – al centro dell’immagine intendo – c’è mia madre: indossa un vestito senza maniche che le arriva sotto il ginocchio; ha occhiali grandi e quadrati come si usavano allora; è sorridente, tiene le braccia tese sui manici di una carriola, dentro la quale, seduto con le gambe raccolte al petto, ci sono io. Ho i capelli crespi e rossi e guardo in avanti. Nel mio ricordo vedo me stesso bambino, come se tutta l’immagine che ho finora descritto si trovasse davanti a uno specchio e io da protagonista fossi diventato spettatore» conclusi.
«Non ha mai avuto i capelli rossi» disse il vecchio.
Lo guardai come se lo riconoscessi solo in quel momento.
«Che sta dicendo? Al sole ho ancora qualche riflesso» dissi passandomi una mano tra i capelli.
Il vecchio soffiò dal naso, con una sorta di riso di compatimento.
«Il bambino dentro la carriola non è lei. Suo padre non ha mai avuto una 127 bianca. Suo nonno è morto due anni prima che lei nascesse, non lo ha mai conosciuto. A questo punto fatico a credere che la donna sia sua madre».
Lo fissai per capire, da una variazione della sua espressione o da una mimica involontaria, se fosse quello uno scherzo infantile, o un raggiro con un qualche fine nascosto.
«Questa immagine non è mai esistita, non può essere e non è un suo ricordo».
«È ora di svegliarsi» dissi stizzito.

 

Biografia

Gioacchino Lonobile dottore di ricerca in neuroscienze. Ideatore del festival letterario FAIR – Farm in reading – presso Farm Cultural Park. Ha pubblicato “Espadrillas Gialle” per 18:30 edizioni (2008) e “Meusa” per Subway (2010), altri racconti per le riviste Atti Impuri, Prospektiva, Nazione Indiana, TerraNullius, Nuova Prosa, Pastrengo, Risme. Ha pubblicato con il Palindromo “I giorni della vampa” (2016) e “Via Terra delle Mosche – stradario immaginifico di Palermo” (2019).

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