L’estate del 78. Intervista a Roberto Alajmo

L’estate del 78

Intervista a Roberto Alajmo di Ivana Margarese

 

Ho l’abitudine di iniziare le interviste con una domanda sul titolo del libro. Sono curiosa di sapere se il titolo L’estate del 78 sia nato dopo un processo di riflessione o sia esattamente la prima cosa che ti è venuta in mente.

Il primo titolo era “Una fetta in più per me”, che poi ha ceduto il posto a quello definitivo dopo un confronto con Antonio Sellerio. Certi titoli sono frutto di una ispirazione di partenza. Per il Repertorio dei Pazzi della città di Palermo è stato così. Mi era sembrato un titolo talmente bello che gli ho scritto attorno un libro intero. Altri titoli invece arrivano a consuntivo, per così dire. In questo non esistono regole, almeno per me.

Nel romanzo parli di tua madre, dei legami familiari e di tuo figlio, Arturo. A questo proposito vorrei farti due domande. Vorrei chiederti qual è per te il significato della parola famiglia e se è mutato col tempo. E mi piacerebbe conoscere la reazione di Arturo alla lettura del libro.

Almeno per me, le famiglie sono due. La prima è il posto dove ti ritrovi nascendo. La seconda è quella che ti costruisci nell’arco della tua vita, magari sbagliando e riprovando. Alla fine non è nemmeno detto che la seconda ti riesca meglio della prima.
Arturo leggendo il libro ha fatto uno dei grugniti che fanno gli adolescenti quando prendono atto di qualcosa, che sia una vincita alla lotteria o un tumore al cervello. Qualche tempo dopo è tornato sull’argomento più o meno spontaneamente dicendo “mi fa strano che la gente adesso sappia i fatti miei”. Io gli ho risposto che poteva andargli peggio, poteva essere figlio di Emmanuel Carrère. Credo di poter dire che tutto sommato comunque Arturo non è ostile all’idea di essere il personaggio di una specie di romanzo.

La nostra rivista Morel, voci dall’isola, ha scelto di pubblicare soltanto racconti con riferimento a fotografie private per sottolineare il legame tra memoria, narrazione e immagine. Ti chiedo come è stato per te raccogliere per questo romanzo le foto di tua madre.

Mah, mi sono sforzato di usare le immagini in funzione narrativa, e non come semplici illustrazioni della narrazione. Le ho interrogate, adoperandole come altrettanti indizi. O almeno, questa era l’intenzione. Non sono le più belle, ma le più significative.

A un certo punto fai una breve lista delle “gioie irrecuperabili”, qualcosa a cui si inizia a pensare a partire da una certa età della vita: leggere senza occhiali, mangiare frittura a cena, accovacciarsi sulle ginocchia, fare l’amore con una certa persona, abbracciare un genitore. L’ho trovata una chiave significativa per avvicinarmi meglio a ciò che hai scritto.

E’ un pezzo che incontra abbastanza il lettore. Lo empatizza, se esiste il verbo. In realtà i miei libri sono sempre farciti di elenchi e repertori. Almeno dalla lista delle navi achee nell’Iliade le elencazioni, se usate in una certa maniera, possono svolgere una funzione narrativa, se non addirittura poetica.

“Privato dolore, pubblico silenzio”. Ci sarebbe molto da dire su questo tema, sulla abitudine di nascondere sottotraccia certi tipi di disagi o di trattarli come qualcosa di cui vergognarsi, a cui non spetta un posto, una voce, una possibilità di condivisione.

Quello che volevo dire l’ho infilato nel romanzo, né mi sembra il caso di essere spudorato adesso, a posteriori. Posso solo aggiungere che nel mio caso, la pubblicazione de L’Estate del 78 è stata terapeutica. Basta questo. Mi piace pensare che certe cose siano contenute nel mio libro come un fiore secco che cade in grembo sfogliando qualche vecchio volume. Non capita spesso, ma quando capita è un soprassalto.

 

“Nel sogno mi chiedi come mai sono rimasto a Palermo. E te lo spiego: siccome io non so dove ti trovi, resto qui così in qualsiasi momento almeno tu sai ove trovarmi”.
Davvero bella questa epigrafe di Adham Darawsha. Un cenno sul tuo vivere Palermo e la Sicilia?

Mi è sembrata una frase bellissima, e io l’ho adoperata per descrivere un contesto completamente diverso da quello originale. Certe piante, come il fico d’india, crescono meglio a latitudini e climi per cui il creatore non le aveva immaginate. Per quanto riguarda la tua domanda, posso cavarmela citando Enzo Sellerio? Io non vivo a Palermo. Vivo a casa mia.

Mi piacerebbe infine sapere se stai attualmente lavorando a un nuovo romanzo.

La clausura per coronavirus si è rivelata una insospettabile risorsa, almeno per me. Tengo un diario, ho ultimato la revisione di un romanzo che parla di migrazioni e da qualche settimana ho iniziato a scrivere un nuovo romanzo che somiglia a un poliziesco. Sono il primo ad essere sorpreso del genere, perché io non sono un lettore di gialli. Ma proprio per questo: io scrivo i libri che vorrei leggere. Da anni vorrei leggere un poliziesco come La Promessa, di Durrenmatt. Ma visto che non riesco a trovarlo, ho deciso di provare a scriverlo io.

 

Biografia

Roberto Alajmo, giornalista e scrittore. Tra i suoi libri: Notizia del disastro (2001), Cuore di madre (2003), È stato il figlio (2005), da cui è stato tratto nel 2012 l’omonimo film diretto da Daniele Ciprì, Palermo è una cipolla (2005), L’arte di annacarsi (2010). Con Sellerio ha pubblicato Carne mia (2016), L’estate del ’78 (2018) e Repertorio dei pazzi della città di Palermo (2018).

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