04 Apr Lascia lo specchio – di Vanessa Ambrosecchio-
Lascia lo specchio
Un clic alla videocamera, qualche secondo di sguardo smarrito, interrogativo (ci siete? ci sono?), provi a scioglierti, ti imponi disinvoltura, prendi l’abbrivio e, sorridendo prima timidamente, poi con tepore crescente nell’illusione di un ampio pubblico, come di bambino che giochi a far la recita, ci consigli libri (prevalentemente tuoi), o ricette di cucina sperimentate nella quarantena, se vuoi; esercizi per tenersi in forma o perle di saggezza. Giusto, come no? Anzi, doveroso. E poi è il giorno della Poesia, oggi, e del Teatro, domani; quello di Dante, dopodomani. E altri giorni verranno, come non celebrarli, tu, proprio tu? E soprattutto: perché no? Su: un pizzico di generosità, un piccolo sforzo per gli altri… Con tutta la gente che butta anima e sangue, di questi tempi! Fai anche tu la tua parte. A che serve, uno scrittore, se non a dire le parole che gli altri si aspettano, quelle di cui tutti hanno bisogno? Coraggio, clicca sul quel maledetto tasto e sorridi, saluta, di’ qualcosa, qualunque cosa servirà a ricordarci che possiamo davvero farcela, se siamo rimasti trenta secondi filati ad ascoltare persino te!
E invece no, non c’è verso. Il sorriso accudito si smorza. La mano levata rammollisce. Mi sottraggo al raggio di azione della telecamera. Hai presente quando c’è troppo sole? Me ne tiro fuori, ecco. Mi metto al confine.
Fuori gioco. In penombra. Vedi, c’è gente che ci muore, in questi giorni, e io non posso fare nulla. Non molto più di un pietoso versamento online. Allora lo faccio fino alla fine, questo nulla. Lo abito un po’. Provo a sentire cosa vuol dire essere cancellati. Mi sotterro, ecco. Mi sotterro un po’ con loro. Li accompagno per un tratto su questo breve traghetto sul quale presto o tardi toccherà anche a me di viaggiare. Non senti qui com’è affollato? Tutti coloro che non sono più tornati. Tutti coloro che non sono stati più visti e riconosciuti. Tutti quelli che nessuno ha più chiamato per nome, o per appellativo familiare: mamma, papà, nonno, figlio mio. Tutti gli scomparsi così, come la carta nelle mani del prestigiatore. Sto un po’ con loro, ti dispiace? Per fargli un po’ di compagnia. E abituarmi poco a poco a sparire. Vedi, ogni parola è un raggio, trafigge e acceca, nell’attimo in cui è detta, e condanna il popolo di tutte le altre alla cancellazione. C’è lo sconfinato continente del rimosso, dell’ignoto, dello scomparso, del mai nato, del prematuramente trapassato nello spazio bianco tra una parola e l’altra. Loro, vedi, sono tutti là. E mi pare sacrilego farli sparire una volta ancora. Mi basta sospendere il dito sul tasto. Sento le loro voci, se trattengo il fiato. Trattengo la memoria, prima che la parola successiva la decapiti per sempre. Non volto la pagina. Non poso la penna sulla carta, non la puntina sul vinile. Non apro bocca. Non clicco su quel tasto, mi abbaglia il chiasso dei miei mille volti sotto i riflettori della socialità. Vòltati, lascia lo specchio. Fuori dal cerchio del sole, vanno già via, non lo vedi?
Vanessa Ambrosecchio vive e insegna a Palermo. Ha pubblicato Cico c’è (Einaudi, 2004, Premio Vittorini Opera prima), Lunga sulla schiena ( Viaggio d’acqua, edizionidipassaggio, 2008), Cosa vedi (Il Palindromo, 2018) e racconti in antologie Einaudi, minimum fax, Fernandel, Mondadori, Exile Editions (Toronto), Tranan (Stoccolma), Palermo University Press, Il Palindromo, Torri del vento, Morellini. Suoi contributi letterari e critici sono presenti nelle antologie per la scuola secondaria di secondo grado Letteratura (Atlas, 2002) e Le opere e il tempo (Palumbo, 2010).
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