Futuri

Futuri

 

Intervista a Roberto Paura di Ivana Margarese

 

 

 

Comincerei dal nome della rivista “Futuri”, che in questo numero di Morel, voci dall’isola dedicato alla figura di Medusa, letta come immagine di resistenza e di continua trasformazione, ha destato la nostra curiosità.

Futuri è il modo in cui crediamo debba essere analizzato il discorso sul futuro: aperto, plurale, inclusivo. Nel linguaggio comune parliamo di “futuro” al singolare, ma la disciplina a cui facciamo riferimento, i futures studies, usa il termine al plurale. E questo perché si basa sulla consapevolezza che non esiste un futuro predeterminato che subiamo passivamente, ma un orizzonte di attesa aperto ai molteplici modi in cui categorie diverse, gruppi sociali diversi, generazioni diverse intendono dare forma alle proprie aspirazioni.

Come nasce l’idea della vostra rivista e cosa vi proponete di indagare nello specifico rispetto alle altre riviste?

Futuri è nata nel 2014 quasi insieme all’organizzazione che la pubblica, l’Italian Institute for the Future, fondata nel 2013. Ci era chiaro fin da subito che, per aprire in Italia un discorso sui futuri possibili alla stregua di quanto fanno i think-tank internazionali di futures studies, occorreva uno spazio di analisi, di approfondimento e di discussione: da qui il progetto della rivista, che nel primo anno è stata, in via sperimentale, quadrimestrale, e poi dal 2015 semestrale. Dal 2017 l’edizione online, www.futurimagazine.it, ospita via via gli articoli apparsi sulla rivista cartacea e altri contributi estemporanei, in alcuni casi anche tradotti in esclusiva da testate internazionali. L’idea era quella di riportare in Italia una rivista di studi sui futuri dopo Futuribili, nata nel 1967, all’epoca in cui nasceva, con il Club di Roma, lo studio degli scenari di lungo termine, ambito in cui l’Italia è stata pioniera, finché, più o meno alla fine degli anni Settanta, il tema è stato pressoché abbandonato, mentre nel resto del mondo – dagli Stati Uniti alla Francia, dal Regno Unito ai paesi scandinavi – si è assistito invece a un fiorente sviluppo.

In Futuri ci occupiamo di argomenti che hanno a che fare con le dinamiche di lungo termine, i possibili megatrend, gli scenari potenziali dei prossimi decenni, sempre con un occhio di riguardo all’interdisciplinarietà, cioè al mondo in cui tendenze diverse – sociali, economiche, ambientali, scientifiche, tecnologiche – si incrociano e generano il cambiamento. Ma è una rivista di studi critici, vale a dire che non raccontiamo le “magnifiche sorti e progressive” dell’innovazione tecnologica o digitale, ma guardiamo alle conseguenze che genera nella società, ai suoi potenziali sviluppi, cercando di dar voce a quei discorsi sul futuro che oggi non hanno spazio, schiacciati dalla narrazione egemonica che identifica il progresso tecnologico con il futuro tout court.

Che ruolo hanno la fantascienza e il pensiero ecologico all’interno dei vostri contributi?

Un ruolo centrale. La fantascienza da sempre è un metodo di enorme efficacia sia nell’immaginazione dei futuri possibili sia come ambito di studio per analizzare il modo in cui la società, nel corso del tempo, ha immaginato il domani. Per questo, fin dal primo numero di Futuri abbiamo scelto di inserire in chiusura di ogni numero un racconto di fantascienza. L’Italian Institute for the Future ha portato avanti questa riflessione in collaborazione con Future Fiction, editore di storie di fantascienza contemporanee da tutto il mondo, lavorando congiuntamente a due volumi, Segnali dal futuro e Antropocene, che includono racconti di fantascienza e saggi di esperti e futurologi per approfondire le relazioni reciproche tra narrativa di speculazione e analisi scientifiche.

Antropocene è anche stata la prima antologia in Italia sulla climate fiction, una corrente narrativa che lega pensiero ecologico e fantascienza per immaginare le conseguenze dei cambiamenti climatici e stimolare l’opinione pubblica a un cambio di passo, oltre a prevedere possibili soluzioni per la mitigazione del climate change. D’altro canto, i futures studies sono nati, alla fine degli anni Sessanta, proprio per affrontare la trasformazione ambientale del pianeta e il celebre Rapporto sui limiti della crescita, considerato testo fondativo degli studi sul futuro, è anche stato un caposaldo del discorso sullo sviluppo sostenibile. Il pensiero ecologico ci stimola a guardare alle conseguenze a lungo termine di ciò che facciamo oggi. Come hanno osservato Christophe Bonneuil e Jean-Baptiste Fressoz nel libro La Terra, la storia e noi. L’evento Antropocene (2019), “la storia dell’Antropocene è una storia delle disinibizioni che hanno normalizzato l’insostenibile”, cioè del modo in cui abbiamo fatto finta di non pensare alle conseguenze delle nostre azioni per le generazioni a venire, che ora iniziano a chiedercene conto.

Siete aperti alla collaborazione con altre riviste e se sì in che termini? Lavorereste per temi, accogliereste altri punti di vista e metodi?

Abbiamo già collaborato in passato con altre riviste, per esempio con Quaderni d’Altri Tempi abbiamo realizzato congiuntamente il quinto numero di Futuri dedicato alle cyberculture. Siamo aperti alla collaborazione e all’ibridazione con riviste che, come noi, si interessano allo studio delle dinamiche del presente in chiave anticipante, cioè come “segnali deboli” di ciò che avverrà, e sono interessate a esplorare nuove modalità di pensare e immaginare il futuro. Ogni numero di Futuri si occupa di una tematica specifica, di solito raccogliamo contributi attraverso una call for papers, e poi altri articoli al di fuori di questa modalità vengono via via “aggregati” ai nostri temi conduttori nella versione online, “Futurimagazine”, dove i diversi temi monografici sono raccolti nella sezione “Dossier”. Siamo particolarmente aperti ad altri punti di vista e metodi nella convinzione che un discorso sul futuro possibile debba essere quanto più possibile vario e inclusivo.

 

Progetti futuri?

Il prossimo numero di Futuri, in uscita a dicembre, si occuperà di Filosofie del futuro. Tratteremo temi come il postumanesimo, l’intelligenza artificiale, le relazioni con gli animali non-umani, le filosofie del digitale, la natura del tempo, la privacy nell’epoca dei Big Data… E stiamo iniziando a ragionare sui temi dei numeri del 2021. Ogni suggerimento è benvenuto!

Biografia

Roberto Paura è presidente dell’Italian Institute for the Future, organizzazione no-profit che si occupa di studi sul futuro, megatrend e scenari di lungo periodo, e direttore della rivista Futuri. Giornalista e saggista, collabora con diverse testate culturali ed è vicedirettore di Quaderni d’Altri Tempi.

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