20 Set Dell’uovo e di quando senza saperlo allevai pulcini
a cura di Giusi D’Urso
Il racconto
Anni fa, dopo l’ultimo trasloco in casa nuova, accadde che senza saperlo allevai pulcini.
Questo inconsapevole miracolo avvenne nella punta estrema di un piccolo terrazzo fatto a elle, la cui estremità più lunga va a ridursi fino a terminare in un angolo angusto e pressoché inutile. Subito dopo il trasloco vi lasciai alcune cassette di legno, in attesa di smaltirle e trovare una soluzione adeguata per uno spazio così poco funzionale. Ma, come a volte accade nelle case in cui la quotidianità rincorre senza tregua gli abitanti, me ne dimenticai e l’angolo rimase così accrocchiato per diversi mesi. Siccome anche la città ha i suoi animali, un giorno, ma nessuno a casa saprebbe dire quando, una femmina di piccione venne a deporre le uova proprio lì. Non mi accorsi di nulla, il luogo di cova era nascosto dall’accrocchio dimenticato di cassette di legno e altre cianfrusaglie accumulatesi nei mesi.
Quando però, in uno dei rari slanci domenicali di buona volontà, mi decisi a ripulire mi trovai di fronte a mamma piccione che insegnava ai suoi due piccoli l’arte del volo. Che fare? C’era la tenerezza per la mamma e i suoi piccoli. C’era anche la vergogna per il giudizio di chi abita nel palazzo di fronte: tutti quei mesi ad allevare piccioni, tutto quel tempo ad accumulare guano e piume, che sporcizia, che degrado. C’era la curiosità, la voglia di osservare le dinamiche di accudimento e allenamento alla vita. Insomma, mi presi qualche giorno per pensare a come risolvere il problema e alla fine, me ne fregai del giudizio altrui e decisi che la piccola famigliola di pennuti non era affatto un problema: attesi il tempo necessario perché i pulcini imparassero a volare. Dopo qualche giorno dal ritrovamento, i giovani piccioni volarono via per sempre, ripulii il terrazzo e piazzai nell’angolo una pianta di aloe.
Storie e informazioni

Le uova di piccione – non le ho viste ma mi sono documentata – sono piccole, lisce e bianche. In rete si consiglia, una volta trovate, di non toccarle e di avvisare la ASL o il comune in modo che possano essere rimosse senza rischi per la salute umana. Ma delle uova, appunto, non seppi mai nulla, trovai i pulcini già nati e pronti alla vita. Possiamo dire che, con una buona dose di ‘incoscienza igienica’ e quasi senza saperlo, allevai piccioni per qualche settimana di una calda primavera di qualche anno fa.
Mia sorella e mio cognato, invece, allevano consapevolmente pulcini di galline ovaiole nella loro casa di campagna. Qui in città ogni tanto arrivano dal loro pollaio uova freschissime. E quel giorno è subito uovo à la coque: un tuffo all’indietro, nella mia infanzia degli anni ‘70. Con le uova rimaste ci faccio torte, pancake e frittate.
L’uovo à la coque è un po’ passato di moda, nonostante la sua storia gloriosa. Quando chiedo ai miei pazienti se e come mangiano le uova, in genere parlano di utilizzo nelle preparazioni: frittate, sformati, dolci. Niente coque, pressoché scomparsa dalle narrazioni casalinghe. Eppure l’uovo à la coque è poetico, gentile, morbido e nutriente. Con il suo albume appena rappreso e il suo tuorlo cremoso, conserva ottime proprietà nutrizionali. In generale, l’uovo è un ottimo alimento che nella sua semplicità garantisce un complesso di proteine, grassi e vitamine di alta qualità e alto potere nutritivo. Se volete approfondire questo aspetto, cliccate qui.
Ma da dove viene l’uovo à la coque? Chi lo ha inventato? C’è ancora qualcuno che ne fa un cibo prelibato e raffinato?
Dal Dizionario moderno Panzini, apprendiamo che coque viene dal greco κόγχη, cfr. conchiglia, cioè guscio. E che à la coque significa cotte nel loro guscio, “così da sorbirle. Uova da bere scriveva lo Scappi, cuoco benemerito dello stomaco di sua Santità Pio V e uova da bere si dice da molti nell’uso volgare”. Siamo a metà del 1500, tempo di Santa Inquisizione.
L’uovo è alimento conosciuto e apprezzato fin dall’antichità per le sue numerose qualità alimentari. Ne troviamo tracce nell’Antico Egitto dove, ci dicono lo storico greco Diodoro Siculo e il letterato romano Varrone in Rerum rusticarum libri, i polli venivano allevati anche grazie a un sistema artificiale d’incubazione delle uova. Massimo Montanari racconta che i Cartaginesi facevano uso delle uova di struzzo, mentre i Greci consumavano uova di gallina. I Romani ponevano in tavola pane, olive e vino e le uova di gallina come antipasto durante la cena. E a proposito di Massimo Montanari – autore di testi di cui consiglio caldamente la lettura – ne La fame e l’abbondanza parla delle uova come cibo sostitutivo della carne, soprattutto nella quotidianità monastica. In un articolo apparso sul storiamedievale.net leggiamo: Elemento essenziale del modello alimentare monastico è la rinuncia, parziale o totale, al consumo di carne: proibita per principio ai monaci, sia pure con molte eccezioni, essa viene rimpiazzata da cibi sostitutivi quali il pesce, le uova o il formaggio”.
In rete ho trovato Michel Bras, chef francese noto soprattutto per il suo tortino al cioccolato dal cuore caldo, che riserva al piccolo universo nutrizionale qual è l’uovo un destino davvero interessante, richiamando memorie d’infanzia e mescolandole alla sua maestria (buona lettura e buon assaporamento).
La faccenda delle memorie d’infanzia mi interessa particolarmente poiché trovo affascinante che influenzi le scelte alimentari, le emozioni, e i sensi di ognuno di noi (Proust docet!). Nel mio lavoro mi dedico da tempo alla sensorialità gustativa e ai suoi effetti sull’alimentazione dei bambini, con particolare attenzione ai problemi di selettività precoce. In tale contesto, ad esempio, ho registrato negli anni un progressivo distacco, in alcuni casi addirittura disgusto, nei confronti delle uova come alimento abituale sulle nostre tavole. In genere la causa del rifiuto risiede nella consistenza e nella presenza di colori diversi nello stesso alimento: dal liquido al viscoso da crudo, dal solido al semisolido da cotto, con il tuorlo (giallo-arancione) che mostra da crudo sfumature diverse dall’esterno all’interno; e l’albume che cambia tonalità cromatica a seconda che si tratti delle calaze o del fluido più omogeneo che circonda il tuorlo. Il guscio, inoltre, può assumere colorazioni diverse a seconda della sua composizione minerale (il 98% è costituito da sostanza inorganica).
Due libri
Le uova sono anche interessanti elementi letterari: è possibile costruire una piccola biblioteca raccogliendo saggi, romanzi, raccolte lasciandosi guidare da questa unica, piccola, magica parola chiave: uovo.
Due suggerimenti da cui partire:
Carla Sereni in Casalinghitudine (Giunti Editore) titola un capitolo del libro “Uova”. Il capitolo comincia con una serie di ricette di crêpes e procede con quelle di frittate e pasta all’uovo. Fra le varie ricette, i suoi bellissimi testi autobiografici. Il primo parla di una fuga. Eccone l’incipit. 
A quattordici anni, un giorno scendo da scuola decisi di andarmene di casa. Non fuggire: avevo acquisito un certo gusto, una qualche ironia che talvolta riusciva a tenermi lontana dal melodramma.
Telefonai a mia sorella Ada, mi trasferii in casa sua: mio padre e mia madre vennero debitamente informati, con quel tanto di revanscismo che connotava i rapporti fra Ada e la matrigna, di un anno più giovane di lei. Maggiore di me di diciassette anni, Ada era l’eleganza, la libertà, il rischio, la fantasia: tutta la vita che in casa mi appariva congelata in leggi rigide ed estranee.
Seguono ricette di frittate, un altro testo in cui la Sereni parla persino dell’incisione di un suo disco, la sua unica esperienza musicale; di una manifestazione di giovani (era già un’altra generazione, i suoi occhi vedevano cose diverse da quelle che pensavo) e di una frittata di uova e bocconcini di pane tostato. Il capitolo si conclude con le ricette di pasta all’uovo e ancora frittate, poi un racconto sulla casa al mare, le vacanze con la sorella Ada, gli amici, in quell’età in cui si smette di leggere i libri per ragazzi. Intorno alla casa c’era un orto.
La Sereni ne parla così: Nell’orto c’erano fichi neri, pomodori, limoni, poche fragole e le zucche rampicanti piantate da mia madre prima che morisse, qualche verdura. Papà e mamma arrivavano di tanto in tanto (…). Si fermavano per poco, a mio padre il mare faceva male o dava noia, il tempo di una frittata di zucchine, un rito conservato perfino negli anni di carcere che Ada alimentava religiosamente, attenta a mantenersi vestale, depositaria di una vita famigliare che non avevo conosciuto.
Nelle soste più lunghe mio padre scendeva al mare verso il tramonto per una passeggiata sulla spiaggia (…). A volte ero con lui.
La frittata di zucchine era un classico anche nella mia famiglia d’origine. Mia madre quando ero bambina mi metteva ai fornelli a rosolare rotelline di zucchina, mentre lei sbatteva per bene le uova. Era l’odore dell’estate, era il mio momento preferito, quello in cui lei mi dava fiducia e mi faceva sentire già grande.
Mia nonna invece, con le uova fresche faceva una frittata speciale che chiamava pesce d’uovo, che però non prevedeva il pesce. Pare che fosse usanza in casa dei pescatori di un tempo, quando tornavano senza aver pescato niente. Oggi pesce d’uovo, dicevano alle mogli.
Ricetta del pesce d’uovo: uova fresche sbattute, un pizzico di sale, qualche cucchiaio di formaggio grattugiato, un battuto d’aglio e prezzemolo. Si cuoce come una frittata normale, ma poi si arrotola perché assuma la forma allungata, simile a quella di un pesce.
Ci sono altri libri che a vario titolo parlano di uova, ma qui vorrei segnalarvi quello di Federica Buglioni, autrice di “Uovo sapiens”, illustrato da Giulia Bernardelli e pubblicato da Topipittori. È un saggio/manuale/guida che parla di cibo come materiale educativo per esplorare il mondo. Io stessa lo utilizzo spesso con i bambini che seguo nel mio studio, traendone giochi, piccoli esperimenti e storie da raccontare. In particolare, nel capitolo dedicato all’uovo, oltre a una serie di curiosità e indicazioni, si trovano spunti da cui partire per studiare questo alimento ricchissimo e complesso, pieno di nutrienti e di ricchezza culturale. Vi si trovano ad esempio consigli per l’esplorazione esperienziale attraverso il tatto, l’osservazione; per fare qualche piccolo esperimento casalingo, per imparare a cucinarlo. Infine, anche qualche link al quale accedere per piccole sfide e giochi tradizionali.
Il libro di Federica Buglioni parla di molto altro: frutta, acqua, funghi, semi. E lo fa con un linguaggio accessibile, chiaro, invitante. Anche le immagini sono un’esperienza visiva straordinaria, mostrando colori e forme di ogni tipo, sorprendendo senza andare mai oltre la realtà e la concretezza.
Della stessa autrice mi piace segnalare anche Naturalisti in cucina, illustrato da Anna Resmini e edito sempre da Topipittori, “Quarantotto pagine di esperimenti per scoprire semi, verdure, bucce e polpe, studiarne l’anatomia, imparare a osservare e a avere così più consapevolezza”.
Un film
Ho amato molto Ovosodo di Paolo Virzì (1997), per la storia, per la tenerezza ispirata da Piero Mansani, il ragazzo livornese che gira per la città sul suo “ciaino”, e perché all’epoca cominciavo a sentirmi toscana per davvero. Nel film c’è Livorno, l’ironia malinconica dei livornesi, la loro allegria dissacrante, le difficoltà dei quartieri popolari.
Che c’entra l’uovo, vi chiederete. Ovosodo è il quartiere livornese dai colori bianco e giallo abitato da Piero, il quale, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, riesce a trovare la sua strada sposando Susy, la sua vicina di casa da sempre innamorata di lui e con la quale avrà una bambina. L’uovo torna alla fine del film, quando Piero, ormai adulto disilluso, dice che i sogni non realizzati gli danno una stretta alla gola, come se avesse mangiato “un ovo sodo col guscio e tutto”.
Il film è tuttora disponibile su alcune comuni piattaforme.
Termino qui, anche se l’uovo racchiude molte altre storie e qualità . Spero che leggendo abbiate trovato la curiosità di andare a fondo, di trovare altri spunti, altri libri, altri film. Perché il cibo è molto più che solo nutrimento: è una linfa vitale che attraversa molti aspetti, se non tutti, della nostra esistenza. A me piace pensare che sia un punto di partenza da cui possiamo tracciare molte traiettorie che si intersecano fra di loro, ne intercettano e ne amplificano altre. Un po’ come succede quando si legge un libro che contiene citazioni di altri libri, o come fanno i funghi con i loro miceli sotterranei.
Ma quella dei funghi è un’altra storia.
Silvia_tebaldi
Posted at 17:52h, 20 SettembreBellissimo pezzo!, grazie Giusi D’Urso, grazie Morel