Aver ragione è ancora un’ arte? Schopenhauer tra dialettica e nuova retorica (terza parte)

di Elisabetta Imperato

  •  La dimensione spirituale della dialettica in Schopenhauer è quella della gara, del conflitto, l’uso del termine è quello retorico, il contesto è quello intersoggettivo della disputa, l’ambito è quello dell’oralità.
  • Diversamente da Platone, che nella accezione più alta identifica la dialettica con la filosofia e con la scienza, Schopenhauer concepisce la dialettica come sinonimo di eristica.
  • Sulla dialettica Schopenhauer si ricollega ad Aristotele e alla tradizione aristotelica. Il punto di partenza della sua analisi è la distinzione tra analitica e dialettica.
  • La base della dialettica viene individuata nella teoria dei predicabili che considera il contenuto dei concetti in maniera formale e in relazione ai rapporti inversamente proporzionali tra estensione e comprensione.
  • Schopenhauer apprezza Aristotele per lo spirito scientifico che lo contraddistingue ma lo critica per non aver separato nettamente analitica e dialettica. La distinzione, per lo stagirita, risiede essenzialmente nella diversità delle premesse, vere nel sillogismo dimostrativo, probabili nel sillogismo dialettico.
  • Per Schopenhauer la distinzione si fonda sulla diversità dello scopo: mentre la logica ha come fine la pura verità oggettiva, la dialettica ha uno scopo utilitaristico: ottenere ragione con ogni mezzo, lecito e illecito. Essa può, quindi, essere messa indifferentemente al servizio del vero e del falso.
  • La dialettica non è collegata alla filosofia ma alla condizione umana. L’ambito in cui si esercita è l’esperienza quotidiana. Essa è una tendenza naturale al servizio della volontà a cui l’intelletto si subordina. Può essere tecnicamente addestrata con l’esercizio e si avvale di stratagemmi che aiutano ad averla vinta sull’avversario.
  • L’origine della dialettica non è in un intento conoscitivo ma in un istinto di sopraffazione, nella prepotenza e nella volontà di ottenere ragione.
  • Nei confronti di Kant Schopenhauer mantiene un atteggiamento di critica, ma è possibile individuare tra le due concezioni alcuni punti di contatto. In entrambi si ritrova la distinzione aristotelica della logica generale in analitica e dialettica. In entrambi la dialettica è considerata naturale ed inevitabile.

 

Tuttavia l’uso del termine nei due filosofi è diverso. Kant collega la dialettica alla ragione e all’idea di totalità non accessibile all’esperienza umana. Ne rifiuta pertanto la pretesa teoretica e la collega alla libertà, all’incondizionato e alla metafisica.
Nella Critica della ragion pura la dialettica assume un duplice significato. Negativo in quanto logica dell’illusione-parvenza (schein), positivo in quanto critica dell’illusione.
Schopenhauer riprende l’antico significato intersoggettivo del termine e considera la dialettica “una scherma spirituale” al servizio della volontà e della prepotenza umana.
In alternativa alla concezione hegeliana, che assegna alla dialettica connotazioni oggettive, Schopenhauer propone un significato di dialettica di segno opposto.
La dialettica nasce dal dibattito e dalla discussione, è l’arte del “colpire e parare” indipendentemente dal vero e dal falso.
A conferma del risaputo antihegelismo di Schopenhauer, Hegel è citato in un esempio di confutazione, nello stratagemma n.3, per “l’insensatezza dei suoi scritti.”

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