Il segreto di Lucia

di Alessandra Rampoldi

«Dov’è l’Angiolina?»

La domanda dell’Anna rimbalza ai quattro angoli della cucina per poi rimanere sospesa sopra le tazze riempite per la colazione.

L’Anna è la sua sorellina, quella di mezzo. Poi viene l’Alberto, che ha cinque anni.

«É vecchia, molto vecchia, vecchissima» le risponde quest’ultimo, come a dire che forse l’Angiolina non esiste più. Del resto, quando si è molto piccoli, è così che accade. Le persone esistono finché le vedi. Quando non le vedi più, cessano di esistere.

Lucia sta zitta ma il suo sguardo va e viene dalla sedia vicino al camino alla cesta del cucito, lì accanto. Da che ha memoria, ogni mattina, l’Angiolina se ne sta su quella sedia ad attenderli, con gli occhiali spessi infilati sul naso e i capelli bianchi e radi, pettinati all’indietro. Intenta a rifare un orlo o a rammendare un calzino, prega sotto voce e dalla sua bocca sottile, quasi invisibile sopra il mento, escono strane parole. Sì, perché l’Angiolina, con il passare degli anni, ha rielaborato il latino degli antichi messali a suo uso personale. Così un Gloria in excelsis Deo è diventato un Grolia in cerzideo e il Nunc et in hora mortis, Incatinoramorti.

«Cosa vuol dire: vecchissima» replica Anna al fratellino. «Anche il nonno è vecchio ma mica sparisce»

Alberto, non convinto, riprende a sorseggiare il suo latte.

«Non tornerà più», lascia cadere fuori Lucia. E la voce un po’ le trema.

Non ha nemmeno avuto il bisogno di salire le scale sino al terzo piano, entrare nella stanza dell’Angiolina, sollevare il copriletto trapuntato e vedere che le lenzuola sono state levate, segno che lì non ci avrebbe più dormito. Le è stato rivelato dai suoi gatti: il Pirata, quello con la macchia nera sull’occhio destro e Codino che, per altro, la coda non ce l’ha. Quella mattina girovagavano spaesati per il cortile.

Lucia ricordava che, dopo che la micia li aveva svezzati, l’Angiolina era andata a scovarli sotto il biancospino, dove si infilavano sempre e se li era portati di sopra, nella sua stanza. A Lucia era dispiaciuto moltissimo e si era lamentata di questo con sua nonna.

«L’Angiolina ha bisogno di compagnia», aveva detto quella volta la nonna, in tono risoluto e chiudendo così la questione.

«Sei una bugiarda!» replica ora l’Anna. «L’Angiolina non se ne andrebbe mai senza salutarci».

E alza la voce. Le capita quando le succedono cose che non riesce a spiegarsi. E poi è convinta di conoscere l’Angiolina meglio degli altri due. Sin da quando era piccola, la seguiva ovunque. L’accompagnava nell’orto, raccoglieva con lei le uova nel pollaio e, quando la donna preparava il risotto, era lei ad assaggiarlo per vedere se mancava di sale. Anna era anche l’unica ad aver avuto accesso alla sua stanza. Era capitato solo qualche mese prima, una sera d’estate, dopo che, cadendo in cortile, si era procurata una ferita al ginocchio. Aveva fatto le scale di corsa per salire dall’Angiolina, fermandosi a ogni pianerottolo per osservare il sangue che le colava in un piccolo rivolo lungo la gamba. La vecchia aveva dischiuso la porta, guardinga, per poi farla entrare.

«Svelta» le aveva detto «Non fare scappare i gatti»

Non aveva acceso la luce, nemmeno mentre la medicava. La stanza però era illuminata da un cero sul davanzale. Anche se l’allaccio alla corrente elettrica era avvenuto da un pezzo, all’Angiolina sembrava non interessare.

Il lume proiettava le loro ombre giganti sul muro.

«Il naso dell’Angiolina è proprio quello di una strega», aveva pensato l’Anna, mentre gli occhi dei gatti lanciavano bagliori da sotto il tavolo, come i tizzoni nel camino.

La bambina però non aveva paura. Entrando nella stanza aveva visto la coroncina del rosario sul letto, sotto l’immagine della Sacra Famiglia dentro la cornice di legno ovale. Di sicuro l’Angiolina, quando aveva bussato alla sua stanza, stava pregando, come faceva sempre.

«Sei una maga?» Le aveva chiesto a bruciapelo. Nel cortile girava voce che la donna conoscesse i rimedi per curare tutte le malattie. Per questo era salita da lei.

Ma l’Angiolina, zitta, aveva continuato a medicarla.

È così, si era convinta Anna, rimuginandoci sopra, più tardi. Del resto non era forse vero che quando l’Angiolina toglieva la ciambella fumante dal forno e pronunciava quella formula magica, ecceancilladdomine, il profumo di vaniglia riempiva tutta la cucina?

Ma ora, sia l’Anna che l’Alberto guardano la sorella grande, in attesa di una spiegazione.

Lucia però tace. Lo sguardo basso, pensa all’Angiolina, tutta vestita di nero come per un lutto perenne, con quelle calze di seta grigio argento che, quando le stendeva ad asciugare al sole, sui fili, brillavano come stelle.

È proprio fuori di zucca, aveva pensato vedendola appendere ai bastoni dei pomodori una di quelle calze, ormai troppo vecchie persino per lei. Forse per tenere a bada i merli. Chissà.

Ora si vergogna di averla commiserata.

«Allora?» Incalza l’Anna.

Sulla sedia dell’Angiolina è rimasto il suo messale. Lucia si alza da tavola e lo prende fra le mani.

In mezzo alle pagine sono infilati dei santini a ricordo di prime comunioni e cresime e anche qualche ritrattino dei morti.

In fondo al libro, però, è conservata una fotografia in bianco e nero che ritrae una donna con un bambino in braccio. Lucia la passa all’Anna.

«Sono io da piccola?» Domanda quest’ultima, la voce ruvida come una crosta di pane.

«Ma no, è l’Angiolina, e quello è il suo bambino» scandisce Lucia.

L’Alberto si sporge per vedere, rimanendo in bilico sulla sedia,

«Ma va là, quella signora non ha nemmeno i capelli bianchi» sentenzia con l’aria da professore.

Lucia guarda i suoi fratelli. Lei è la sorella maggiore. Quante volte le è stato ricordato dai suoi genitori? E questa lagna del dare il buon esempio, anche quando lei vorrebbe disubbidire, sbraitare e magari sbattere una porta dietro di sé. Eppure sembra accorgersi in quel momento che è la più grande e deve aver cura di loro.

L’Alberto è ancora un bambino, pensa, non come lei che ha compiuto dodici anni a maggio. La notte, quando fa brutti sogni, se lo ritrova in piedi accanto al letto e lascia che si infili sotto le sue coperte. E l’Anna? Sua sorella è di certo la più spavalda. Nei giochi di cortile senti la sua voce sopra quella di tutti gli altri bambini. Tiene testa anche ai maschi ma a Lucia ora appare come quelle bocce di vetro che ogni anno appendono all’albero di Natale. Bellissima e fragile.

Come può raccontare loro quella storia terribile che ha appreso dal nonno il giorno prima?

Lui le ha raccontato che l’Angiolina era cresciuta in un paese lontano, in una città chiamata Pola, e c’aveva vissuto sino a che la guerra era finita.

Poi una mattina d’estate era andata con suo marito e il loro bambino alla spiaggia. E si era stesa sull’asciugamano, al sole. Il marito e il figlio, invece, erano rimasti vicino alla riva. C’era una gara di nuoto e lui si era messo il piccolo sulle spalle perché potesse vedere meglio. All’Angelina giungevano le voci di chi incitava i nuotatori o le risa dei bambini che si schizzavano sulla battigia. In quella giornata d’agosto la guerra sembrava già essere un ricordo lontano.

Ma improvvisamente, la sabbia tutta intorno era esplosa.

Quando gli occhi dell’Angiolina erano tornati a vedere, in mezzo a tutto quel fumo che pareva nebbia, della sua famiglia non esisteva più nessuno. La sabbia li aveva inghiottiti.

Il nonno le aveva spiegato che i militari iugoslavi volevano costringere gli Italiani a lasciare la città. Per questo avevano nascosto lì l’esplosivo.

L’Angiolina era impazzita dal dolore. Prima di lasciare per sempre la sua casa, aveva distrutto tutto quello che poteva, perché non rimanesse nulla a quelli che l’avrebbero occupata.

Non voleva che le mani di uomini senza onore e che si erano macchiate del sangue dei suoi cari, toccassero le loro cose. Così le aveva detto il nonno.

«Riesci ad immaginare, Lucia, cosa deve aver provato l’Angiolina in quei momenti?

Lasci la tua casa per non tornarci più. Non sai nemmeno se chiudere a chiave la porta perché comunque degli estranei entreranno dopo che te ne sarai andata. Esci per strada. É piena di gente che fugge. Alcuni trascinano dei carretti, altri hanno caricato tutto quello che possono portare con sé sugli asini. Tu hai solo un fagotto con poche cose. È inverno e ti sei messa addosso tutto quello che potevi»

Lucia per un attimo si era vista in quella strada, camminava per mano all’Angiolina.

«Sai, quel giorno nevicava e l’Angiolina per il resto della sua vita ha odiato la neve».

Ecco perché non usciva mai dalla sua stanza nei giorni in cui nevicava, aveva pensato Lucia. La nonna diceva loro che l’Angiolina non si sentiva bene e che non dovevano disturbarla. Poi saliva da lei a portarle il brodo caldo e le mele cotte.

«E poi nonno, cosa le è successo?»

«Ha lasciato l’Istria, salpando a bordo di un piroscafo. È sbarcata in una città lontana lontana e ha risalito tutta l’Italia, un po’ alla volta, fino ad arrivare a Milano.»

Qui aveva preso servizio presso i suoi nonni ed era rimasta sempre con loro. Li aveva seguiti anche quando, anni dopo, si erano trasferiti in Brianza.

E solo in quella grande casa, in fondo al paese, dove le abitazioni si diradavano per lasciare spazio ai campi e alla nebbia, solo lì, la povera Angiolina si era sentita al sicuro.

«Sai, Lucia», aveva concluso il nonno, «l’Angiolina ha vissuto la vita delle persone di cui si è presa cura in questa casa. La sua l’ha persa quel giorno d’agosto sulla spiaggia Vergarolla.

Questa storia era il suo segreto, ora è un po’ anche tuo.»

«Ma allora che fine ha fatto l’Angiolina?»

La domanda dell’Anna riporta di colpo Lucia in quella cucina, davanti alla sua tazza con il latte e il caffè d’orzo, ormai freddi.

Lucia allora prende fiato, come se le toccasse di soffiare sulle candeline di una torta di compleanno.

«È tornata da suo figlio» risponde.

E si sente improvvisamente calma, come se queste parole rimettessero ogni cosa al suo posto. Anche la morte.

*

Alessandra Rampoldi è nata a Como. È una cantante lirica e svolge la sua attività in Italia e all’estero. Agli studi musicali ha affiancato quelli umanistici, laureandosi in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano. Ha pubblicato per Olscki e Libreria Musicale Italiana, in ambito musicologico. Di recente alcuni suoi racconti sono apparsi su “Biroconlaccento” e “Racconticon”. Lettrice compulsiva, ama il cinema, il teatro, la gente.

(Immagine tratta dal Web. Rimaniamo a disposizione dei titolari dei diritti per segnalarne la paternità.)

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