28 Feb Le Supplici
di Giorgia Rubera
Demètra, tu che l’are occupi in questa
terra d’Eleusi, e voi, che, della Diva
ministri, i templi custodite, a me
e al figlio mio Tesèo rida fortuna,
alla città d’Atene, al suol di Pítteo.
Quivi cresciuta io sono, Etra, sua figlia;
ed egli sposa al figlio di Pandíone,
a Egèo mi die’: ché cosí volle Febo.
Io queste preci volgo a voi, vedendo
queste misere vecchie, che lasciarono
l’argiva patria, e con i rami supplici
alle ginocchia mie caddero. Orribile
è la sciagura che le opprime: prive
dei loro figli son: presso alle mura
cadmèe quei sette valorosi caddero,
[…. ]
Le salme loro, che trafitte caddero,
ora le madri seppellir vorrebbero;
ma fan contrasto i vincitori, spregiano
ogni legge divina, e proibiscono
che si levino i corpi.
(Euripide, Le Supplici).
Un gruppo di donne di Argo si riunisce presso l’altare di Demetra a Eleusi, sono le madri dei guerrieri argivi morti nel fallito assalto a Tebe giunte per supplicare gli ateniesi di aiutarle a dare degna sepoltura ai loro figli. I cadaveri vengono loro negati dai tebani, il rito della sepoltura non si può compiere.
La tragedia di Euripide continua a compiersi ai giorni nostri, a Zarzis, città della costa tunisina nei pressi del confine libico, non morti in guerra come nella tragedia di Euripide, ma in mare. Nuove supplici reclamano i corpi dei loro figli, madri che hanno perso i propri figli in mare. Le donne dell’Association des mèresde migrants disparus mostrano le foto dei loro figli come reliquie, le loro immagini sono l’ultima traccia delle loro vite, insieme ai loro vestiti e alle loro camere ormai vuote. Sento i loro lamenti, le loro storie. Il rito funebre di separazione proprio a ogni cultura non può essere messo in atto, le madri supplicano.
Il 21 settembre 2022, un’imbarcazione partita da Zarzis nel sud-est della Tunisia con 18 giovanissimi a bordo è naufragata, l’Associazione dei pescatori di Zarzis, guidata dal pescatore Chamseddine Bourassin, che da anni salva le persone in mare, inizia autonomamente le ricerche. Il corpo di Malek viene ritrovato sulle spiagge di Djerba. Dopo molte ricerche i parenti scoprono che altri corpi erano stati recuperati dalle autorità locali ed erano stati sepolti senza prelievo del DNA all’interno del cimitero Jardine d’Afrique.
Due i cimiteri di chi muore senza nome in mare a Zarzis, Le cimetière des inconnus e Jardine d’Afrique. In mezzo alla disumanità della morte in mare, due uomini nella città di Zarzis cercano di riportare umanità, Chamseddine Marzoug e Rachid Koraïchi.
Prima che arrivassero loro, i corpi senza nome finivano in fosse comuni, in una discarica. Esseri umani buttati come dei rifiuti. “Siamo ancora alla preistoria dello spirito umano” dice Edgar Morin, lo stesso aggiunge la necessità di “insegnare l’umanità all’umanità” e Chamseddine Marzoug e Rachid Koraïchi ci appaiono come incarnazioni di quest’umanità, nella loro missione i principi musulmani di compassione, misericordia, protezione, fratellanza e umanità si concretizzano. Chamseddine Marzoug è un ex pescatore, ora volontario della Mezzaluna Rossa tunisina, nel 2011 chiese alle autorità un terreno per poter dare una degna sepoltura a tutte le persone morte in mare nella speranza di varcare il confine europeo. Gli venne dato un posto in una discarica dismessa.
La profonda compassione musulmana che lo abita lo spinge a recuperare e ridare dignità ai cadaveri, con lui altri volontari.
Ogni tomba ha un piccolo fiore, una targa, a volte un nome. “Non potevo sopportare l’idea che le persone in fuga dalla povertà, dal cambiamento climatico, dalla guerra e dal Covid finissero nelle discariche. Volevo che riposassero in un luogo onorevole“, dice Rachid Koraïchi, artista sufi algerino, la cui stirpe risale al profeta Muhammad.
È sua la realizzazione del secondo cimitero a Zarzis che ospita i corpi trovati senza nome, lo ha chiamato Jardine d’Afrique. Questo cimitero opera d’arte nasce dall’idea di creare un giardino della memoria, cimitero non confessionale e database di DNA per permettere alle famiglie un giorno di ritrovare i propri cari. L’esperienza dell’artista è segnata dalla grave perdita personale di suo fratello Mohammed Koraïchi, che nel 1962 fu vittima del mare.
Jardin d’Afrique è un’opera ricca di simbolismi, come tutta la poetica di Koraïchi, immerso in un uliveto nel deserto tunisino rievoca l’idea di paradiso, un’enorme porta dipinta di giallo brillante, che secondo l’artista rappresenta l’intensità del sole africano, accoglie il visitatore.
La porta contiene una porta più piccola di accesso, in modo che chiunque vi entri debba piegarsi per attraversarla in un gesto di riverenza verso coloro che hanno perso la vita in mare. Due grandi stele di alabastro si trovano su entrambi gli stipiti della porta, a modo di “guardiani simbolici e talismani”, dice Koraïchi.
“Se si impediscono gli accessi legali non restano che quelli illegali urlano le madri”. E così morti e cimiteri crescono ogni giorno in maniera talmente grande che questi due cimiteri sono quasi al completo.
Da fine settembre, in un clima di grande tensione, le madri di Zarzis in cerca dei corpi hanno moltiplicato le azioni, le proteste. Si è arrivato perfino ad aprire e profanare le tombe del cimitero Jardine d’Afrique. Il cimitero adesso è chiuso, sono stati posti i sigilli. Il documentario etnografico che io dovevo girare lì, in sospeso.
A pochi giorni dal XVIII Vertice della Francofonia, che si è tenuto il 19 e 20 novembre a Djerba, la tensione è aumentata nella vicina città di Zarzis. Un clima quasi insurrezionale si è impadronito della località costiera tunisina e si è esteso a tutto il mondo con proteste a Parigi, Milano, Tunisi fino ad arrivare anche in Germania.
Sono a Tunisi in una calda giornata di sole è il 4 febbraio 2023, mi giro verso il Teatro illuminato in avenue Bourguiba, una lunghissima lista di nomi si estende come un fiume lungo la strada. Mi avvicino incuriosita, sono tutti i nomi dei morti in mare, accanto al nome la causa di morte, (annegamento, disidratazione, altre lunghe tremende descrizioni), se il corpo non è stato trovato (disparu), sparito. Una distesa infinita di nomi che a guardarli viene una vertigine, il marchio della morte oscura il sole di quella meravigliosa giornata. Seppur già a conoscenza del dramma in atto, rimango sospesa in uno spazio vuoto di fronte alla materializzazione della portata di questa strage. Pesante Epifania della morte.