“Between Girls”: intervista a Karen Marshall


a cura di Ivana Margarese

Intervista di Francesca Grispello, traduzione di Giorgio Galli.


Immagini fotografiche di Karen Marshall

Karen Marshall è autrice del progetto fotografico Between Girls: A Passage To Womanhood, in cui la fotografa newyorkese documenta per trent’anni la vita insieme di un gruppo di ragazze borghesi a partire dai tempi del liceo.
Una riflessione sull’amicizia che include non soltanto fotografie, ma interviste audio, video, collage, piccoli libri e altri elementi. Un archivio della memoria “tra amiche”.
Marshall nella sua biografia dichiara di concentrarsi sulla vita psichica dei suoi soggetti per lavorare “a una serie di storie visive che contemplano le relazioni  e trasmettono idee sulle persone e sui luoghi all’interno del paesaggio culturale.”
Nel caso dell’amicizia comprendere i comuni piccoli riti e la connessioni emotive che la animano racconta del nostro senso di identità più profondo e della memoria nell’appartenenza reciproca che va oltre il genere, la classe e la cultura. Queste quattro ragazze, seppure sconosciute, raccontano di noi e ci fanno rivivere il senso di quei legami, che nonostante il tempo che passa e le distanze, rimangono tracce decise di ciò che siamo e siamo stati: “credo che esista un linguaggio che le donne condividono tra loro. Queste relazioni emblematiche sono senza tempo.  Con questo tipo di relazioni che si trovano in momenti importanti della vita, le amiche possono non vedersi per anni e poi, quando si rivedono, le loro conversazioni possono riprendere esattamente da dove si erano interrotte, come se non fosse passato del tempo”.
Abbiamo desiderato realizzare un’intervista su questo progetto dedicato alla amicizia, argomento che da lungo tempo impegna la redazione della nostra rivista.

Grazie a Francesca Grispello e a Karen Marshall, che ha accolto le nostre domande.

Fotografa, documentarista, insegnante, donna. Quando hai capito il valore della testimonianza e della narrazione attraverso il mezzo fotografico?

Ho scoperto la fotografia all’età di 13 anni e già allora sapevo di essere innamorata del mezzo fotografico.  Inoltre, ho preferito catturare le cose nel mondo reale piuttosto che avere interesse per il lavoro in studio. Sono cresciuta con una madre che lavorava in teatro e l’idea del dramma umano, del palcoscenico e dello spettatore è sempre stata presente nella mia vita: quindi il concetto di narrazione è sempre stato parte della mia esistenza. Preferisco però guardare il teatro della realtà.

Between Girls è un’opera estremamente emotiva. Se ci fossero stati degli uomini, avrebbe avuto la stessa forza?

Credo che esista un linguaggio che le donne condividono tra loro.  È a questo che ho guardato in particolare quando ho fotografato e portato avanti questo lavoro nel corso degli anni.  Gli uomini si legano l’uno all’altro e per alcuni può essere molto emotivo, ma non essendo un uomo non posso parlarne.  Ci sono molti uomini raffigurati in questo libro.  Sono ragazzi e uomini che fanno parte della vita delle donne.

Nelle tue immagini c’è un “oltre”, una narrazione, che trabocca dall’inquadratura. Come nasce una delle tue immagini? Cosa cerchi di catturare nel tuo lavoro?
Credo fortemente che ci siano momenti che accadono nel quotidiano e che rivelano significati molto più grandi: momenti in cui si può trasmettere un senso di luogo, non solo la sensazione fisica o la percezione psicologica di un luogo, ma la vita stessa del luogo.  Le fotografie possono descrivere letteralmente ciò che si trova all’interno di un’inquadratura, ma la magia sta nelle cose che implicano, nel modo in cui possono far riflettere l’osservatore su ciò che si trova al di fuori dell’inquadratura o farlo pensare a se stesso e a relazionarsi con il momento che ha di fronte.

Il tuo approccio è al tempo stesso antropologico e intimo. Quale parte delle tue fotografie rimane inedita per l’osservatore? Cosa colpisce la tua immaginazione?

I fatti sono spesso importanti.  Come per uno scrittore, ci sono diversi modi di descrivere l’aspetto di una persona, quello che indossa, il modo in cui si comporta e i gesti che compie: tutti questi elementi sono importanti quanto le cose che la circondano.  E, come ho appena detto, le idee che fanno pensare lo spettatore a qualcosa che è dentro di lui, che è relazionabile, che ci connette tutti l’uno all’altro,  all’esperienza umana universale. Si tratta anche degli strumenti che si usano, quale obiettivo, quale flash, quale velocità e profondità di campo; e, in questo caso, come ho sviluppato ed esposto la pellicola.

Qual è stata la tua prima macchina fotografica e quale usi ora?

La mia prima macchina fotografica è stata una Kodak Instamatic; ma era prima che mi appassionassi seriamente alla fotografia ed ero solo una bambina.  A 13 anni mio padre mi comprò una Exacta VX500.  Era una macchina fotografica tedesca economica.  La prima fotocamera che comprai per me stessa quando ero al liceo fu una Nikkormat della Nikon. Per molti anni ho scattato con una Nikon, sia manuale che digitale, Rolleiflex di medio formato, Mamiya 645, Leica, Contax, Fugifilm, Holga.

Ci sono molti maestri nel mondo della fotografia e dell’arte, quali sono i tuoi?
In momenti diversi della mia vita, diverse persone mi hanno influenzato.  Da giovane Diane Arbus mi ha probabilmente insegnato di più; ma ce ne sono stati molti e non mi piace specificare.

Qual è, secondo Karen Marshall, la specificità dell’amicizia femminile? Come si manifesta visivamente e come si differenzia dall’amicizia maschile?

Come ho detto prima, credo che esista un linguaggio che le donne condividono tra loro. Queste relazioni emblematiche sono senza tempo.  Con questo tipo di relazioni che si trovano in momenti importanti della vita, le amiche possono non vedersi per anni e poi, quando si rivedono, le loro conversazioni possono riprendere esattamente da dove si erano interrotte, come se non fosse passato del tempo.

Qual è il motivo della scelta del bianco e nero? Pensi che la sottrazione del colore catturi meglio l’essenza delle relazioni umane?

Ho iniziato questo lavoro nel 1985.  A quei tempi la maggior parte delle persone lavorava in camera oscura.  Anche se naturalmente c’erano persone che lavoravano a colori, non era così facile farlo. Era più costoso e la camera oscura umida a colori non era così accessibile.  In precedenza avevo lavorato principalmente in bianco e nero, quindi è stata una cosa organica, fatta senza pensare a ciò che stavo scegliendo.  Il bianco e nero può accedere facilmente alle emozioni umane e l’osservatore non è distratto dal colore e dalla combinazione di colori di ciò che le persone indossano, ecc. Vedo il bianco e nero in valori tonali: cioè ci sono gradazioni di grigio, bianco e nero ed è in queste sfumature che si rivelano molte cose.

* Tutte le immagini sono tratte dalla serie Between Girls di Karen Marshall

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