Maurizio Cattelan. Provocare… per farsi ascoltare dal mondo

Il secondo appuntamento della rassegna Arte e consapevolezza. Una nuova ecologia, politica, etica, estetica per cambiare il mondo di domenica 19 febbraio alle ore 17.30 presso Anghelos centro studi sulla Comunicazione, via Pirandello 40, Palermo, è dedicato a Maurizio Cattelan. Nato a Padova il 21 settembre del 1960 da una famiglia di modeste origini –  il padre Paolo fa il camionista, la madre Pierina è donna delle pulizie – Cattelan è tra gli artisti italiani uno dei più noti e riconosciuti a livello internazionale.
Dopo aver abbandonato la scuola e aver cominciato a lavorare a soli 17 anni per necessità familiari, facendo lavori saltuari come il giardiniere o l’elettricista, l’artista si forma da autodidatta tra Forlì e Bologna negli anni Ottanta, frequentando gli ambienti dell’Accademia di Belle Arti del capoluogo emiliano pur senza frequentare le lezioni e senza iscriversi ai corsi. Cattelan non riceve una formazione tradizionale: piuttosto, studia e impara osservando. La primissima opera, Senza titolo, è del 1986 ed è una sorta di “rivisitazione” dei tagli di Fontana ed è del 1989 un’opera fotografica intitolata Lessico Familiare prendendo a prestito il titolo del noto romanzo di Natalia Ginzburg (è il primo degli innumerevoli autoritratti di Cattelan). Risale invece al 1991 il suo esordio espositivo, in cui l’artista riesce a imbucarsi ad Arte Fiera, esponendo uno “Stand Abusivo” in cui vendeva gadget di una squadra di calcio fittizia, la A.C. Forniture Sud. Sempre nel 1991, l’artista espose ufficialmente  a Bologna, con il progetto Stadium.
Le sue opere provocatorie in bilico tra realtà e finzione, in cui parodia e tragedia spesso si mescolano utilizzando il paradosso, la citazione, il gioco e la capacità di sollevare indignazione e irritazione nel pubblico. Cattelan riesce a scandalizzare, a incuriosire, a far discutere, e soprattutto a far riflettere i destinatari, affermandosi come uno dei massimi esponenti della cosiddetta arte relazionale. L’espressione “estetica relazionale” è stata adoperata per la prima volta nel 1996 dal critico Nicholas Bourriaud, che ha proprio indicato Cattelan come uno dei principali esponenti di quest’arte: secondo lo studioso francese, l’arte relazionale è “un’arte che assume come suo orizzonte teorico il regno delle interazioni umane e il suo contesto sociale, piuttosto che l’asserzione di uno spazio indipendente e privato”. L’arte relazionale, in breve, ha poco a che fare con i limiti imposti da uno spazio espositivo o quelli temporali imposti dalla durata di una mostra, ma agisce piuttosto in un contesto sociale.


di Fabio Alfano

 

“Non ho mai fatto niente di più provocatorio e spietato di ciò che vedo tutti i giorni attorno a me. Io sono una spugna, un altoparlante.”

Siamo talmente immersi nelle aberrazioni della società e umanità che abbiamo creato, e negli assurdi schemi, cliché, regole, condizionamenti che determinano queste aberrazioni, che talvolta, soltanto qualcosa che ci sorprende, scuote, provoca, ci indigna fortemente, può indurci a fermarci, anche un attimo, e a non dare tutto per scontato. Ben venga pertanto tutto ciò che ci fa sussultare, benvenute quindi le provocazioni dell’arte e quelle in particolare di Maurizio Cattelan che non importa se sono strategie di marketing o no, importa che ci costringono a riflettere su certi temi o situazioni.
Feroci dittatori in ginocchio quasi a chiedere scusa (Him. Il genocida in preghiera, 2001), Papi travolti e ‘atterrati’ da una meteorite (La nona ora, 1999), bambini appesi ad un albero (Bambini impiccati, 2004), dita medie giganti esposte davanti a edifici della Borsa (L.O.V.E. Libertà Odio Vendetta Libertà, 2010), water dorati (America, 2016), cavalli appesi al soffitto (Novecento, 1997) sono certamente immagini forti, talvolta irriverenti, dissacranti, irritanti, ma ci costringono, tra i tanti ‘segni’ in cui siamo costantemente immersi, a fare i conti con esse, a guardarle o rifiutarle, a prenderle comunque in considerazione.
E in questo tempo che viviamo, dove è necessario cambiare tutto, perché tutto non funziona, frantumare controproducenti convinzioni, devastanti paradigmi, pesanti condizionamenti che ci imprigionano, e che diamo ingenuamente per scontati, è certamente un lavoro necessario. E ciò riguardo la politica con i suoi attuali non valori, la finanza con le sue regole dominanti, le religioni con i loro schemi costrittivi, la società con i suoi processi distorti -anche quelli per esempio riguardanti i bambini e la loro educazione- Maurizio Cattelan con la sua arte, definita da alcuni “relazionale” o “sociale” perché indaga le relazioni della società e si propone prepotentemente ad essa travalicando spesso spazi e ambiti tradizionali dell’arte, tra gioco, ironia, ambiguità, spregiudicatezza e qualche volta incoscienza, ci costringe a parlare di sé, delle sue opere, del suo modo di vedere la vita. Un’arte, la sua, che certamente rompe solide gabbie mentali spianando la strada al nuovo. Che lui, come spesso si legge, si arricchisca smisuratamente con tutto questo, non sminuisce certamente la portata del suo messaggio; anzi la amplifica perché irrita ancora di più. A noi è sufficiente essere provocati per poter cambiare.

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