La storia è un presente ambiguo da interpellare. Riflessioni a partire da Arendt, Weil, Hillesum

 

 

La rivista Leggendaria,  giunta al suo 155 numero (agosto – settembre 2022), oggi 17 novembre, dalle ore 17, organizza presso la Casa internazionale delle donne di Roma un incontro dedicato all’ultimo tema a cui si è dedicata: la guerra.

La guerra col suo carico di morte, violenza, distruzione chiama tutti noi a interrogarci e a prendere posizione:

Come posizionarsi da femministe – dato che il termine “donne” sembra aver perso di spessore e significato nella appena conclusa campagna elettorale italiana – in questa partita, in questo scenario. Dalle dicotomie, dalle contrapposizioni frontali non si esce indenni. Lo sappiamo per esperienza. Pensare e praticare la pace significa, ci pare, soprattutto mettere in campo l’arte del rammendo: scegliere quei fili, anche se magari di colore diverso, che riescano a ricucire i lembi lacerati di un tessuto – civile, politico, sociale – le vite con le sue molteplici trame, la Storia e la memoria. Riparare, ricucire, rammendare. Trattare, negoziare. E sempre, soprattutto, pensare, immaginare, prefigurare l’avvenire senza farsi sopraffare dal timore della catastrofe o dall’immobilismo dell’impotenza.

Noi di “Morel voci dall’isola” vogliamo essere vicini alle donne di “Leggendaria” che rappresentano -oltre che un esempio fecondo – radici di nutrimento, dialogo, e di possibilità di far nascere quelle parentele, di cui parla Donna Haraway in Staying with the Trouble: Making Kin in the Chthulucene, derivate da affinità e non da legami di sangue.
Riportiamo di seguito un articolo, contenuto nell’attuale numero della rivista, di Elvira Federici , pubblicato col titolo “La storia è un presente ambiguo da interpellare” in cui l’autrice ci propone, per non accendere in noi il seme del conflitto, di riascoltando pensatrici come  Arendt, Weil, Hillesum, che ci parlavano da dentro le tragedie del Novecento e che ancora adesso possono orientarci (https://leggendaria.it/)

 

articolo di Elvira Federici

Mentre  la violenza della guerra russa contro l’Ucraina sembra far strame delle idee e dei pensieri che ci hanno nutrito,  – noi donne e uomini nati dopo la metà del Novecento, contrassegnato dalla catastrofe di due guerre mondiali e della Shoah – quando in propositocredevamo di aver visto e appreso e meditato tutto, ci troviamo a dover ripensare ogni cosa, a riprendere le parole mai abbandonate ma ora più necessarie perché strette alla nostra stessa esperienza, di quelle pensatrici che ci parlavano da dentro quella tragedia.
La smisurata dimensione di ciò che è accaduto nella prima metà del Novecento e ha avuto il suo centro in Europa, ha reso all’Occidente poco rilevabile l’infinito assassinio del mondo, cui pure abbiamo continuato in questi anni ad assistere spesso inerti  e come inconsapevoli: guerre di invasione, guerre “giuste” condotte sulla base di imposture, guerre civili, etniche, imperialistiche, guerre del terrorismo e al terrorismo, devastazioni ambientali, saccheggi della Terra. Ce ne accorgiamo ora, che la guerra è qui, nel cuore dell’Europa, da dove tutto è cominciato e dove tutto sembra nuovamente precipitare, come forse neppure nel 1992 per i Balcani.
Perché è così inquietante una guerra – orribile e ingiusta come tutte quelle che in questi settanta anni di pace (nostra) hanno devastato la Terra? Non solo perché è qui, dietro casa, ma perché nelle sue dinamiche ci riporta al punto di partenza: a quegli orrori del Novecento, accaduti proprio nel cuore dell’Europa e che la fiducia nella progressiva proclamazione ed estensione dei diritti a partire dalle macerie di quelle tragedie ci avevano fatto credere lontani e irripetibili; nel luogo, l’Europa, che credeva di essersi messo al sicuro, grazie alla consapevolezza del passato, grazie alla forza dei diritti progressivamente conquistati.
Il processo di cambiamento instauratosi per effetto della sua storia e proprio come risposta al male causato ha avuto come esito (quanto prevedibile?) l’accentuazione della forbice tra l’Europa e il resto del mondo (ma anche tra una parte di Europa e un’altra come tra una sponda e l’altra del Mediterraneo). E poi: quale Europa? Tanta Europa, intrecciata vistosamente nella cultura, nelle religioni, nei conflitti e nelle alleanze, è rimasta fuori dall’ identità europea che si è andata profilando. Stiamo dunque facendo i conti con gli effetti del bipolarismo della Guerra Fredda che ha disegnato nostro malgrado un’Europa di stampo angloamericano: e il fantasma, feroce e cruento che si aggira oggi per l’Europa è quello, risentito, vendicativo di una parte – immensa – che non ha potuto/saputo farne parte.
L’Europa è diventata sinonimo di Occidente, in una versione più complessa e gentile; rispetto agli Usa potevamo come europei essere anche orgogliosi del welfare e dei diritti, della pace interna, della prosperità realizzata, della capacità di risoluzione dei conflitti – tanti e aperti.
Ma dove si sono dispersi i semi di tanto dolore, di tanta ingiustizia e violenza e sopraffazione potenziata dalla tecnica come mai nella storia umana, di un Novecento che ha sfidato la fine del mondo?
Come un’onda limacciosa, nella sempre più marcata disparità tra un mondo protetto e altri permanentemente minacciati, la violenza, espunta dall’Europa ed endemizzata nel mondo attraverso scelte geopolitiche e forme di aggressività neocapitalistica, sembra tracimata nel cuore dell’Europa prima nelle forme dell’economia iperliberista e con l’erosione dei diritti sociali in primo luogo, poi civili, quindi con il ritorno rabbioso di populismo, nazionalismo, razzismo. Ora con la guerra portata da Putin contro l’Ucraina.


Tutto ciò che, secondo quanto scrivevano Habermas e Derrida,  ci ha permesso di  riconoscerci come Europa: la laicità; la fiducia nello Stato rispetto al mercato; le aspettative non escatologiche rispetto al progresso tecnologico; lo stato sociale; l’opposizione all’uso della forza; il multilateralismo nel quadro delle Nazioni Unite, ma anche lo sviluppo sostenibile, il multiculturalismo e la  kantiana pace perpetua fondata sul disarmo***, tutto questo è minacciato dal ritorno dei fantasmi del Novecento, agitati da Putin, rilanciati dalla logica del riarmo e dello scontro di civiltà. Ma non si tratta solo di ragioni geopolitiche; ne va di qualcosa di più profondo e sovrastante: un male sterminato, che ha nel Novecento un culmine effettuale e simbolico e che non smette di agire sul presente.


Leggendo  Vita e destino di Vassilij Grossman, in cui l’amore dei bolscevichi per il destino umano si traduce nell’orrore della delazione, delle purghe, delle esecuzioni in nome del Partito o le anodine, persino miti aspettative di un giovane tedesco (Eichmann)  trovano realizzazione  nel presiedere e coordinare le operazioni di sterminio; o di un ebreo sfinito dalla persecuzione che per eludere la morte entra nel Sonderkommando, sentiamo che  questa storia è viva e non si dirime a tavolino come non si tracciano confini con la riga e la squadra. Il passato non è qualcosa da archiviare, qualcosa da cui allontanarsi tanto più in fretta quanto più crediamo nelle magnifiche sorti e progressive; è piuttosto un presente ambiguo da interpellare. È qualcosa che ci obbliga non a predisporre armi di difesa più efficaci ma ad esercitare una più vigile attenzione alle conseguenze di processi violentissimi che investendo tutto, lasciano tutti profondamente modificati.
Non possiamo contrastare con le armi la guerra che viene portata da Putin ma possiamo cercare di non accenderla in noi, con la polarizzazione che vede da una parte i buoni (noi, l’Occidente) e dall’altra i cattivi. Possiamo cercare la diminuzione del danno, sapendo che siamo, in quanto Europa, dentro ai processi che si sono innescati e di cui siamo parte: contrastare la vertigine disumanizzante dell’ideologia (la difesa del male necessario) o la semplificazione del mero scontro fra regimi; la scorciatoia morale della demonizzazione del nemico; l’idea comoda che la forza risolva il problema una volta per tutte.

Se le pur indispensabili letture geopolitche ci aiutano a costruire reti causali, esse lasciano però inesplorati i temi della giustizia, della forza, del male e come questi ci riguardino come soggetti politici: quelli che Arendt, Weil, Hillesum affrontano dall’interno di quell’esperienza. Non teorie ma parole che scaturiscono anche dall’affezione della carne. Possiamo appena ricordarle, in brevi e parziali riferimenti: tre donne ebree, che in modo diverso, nelle guerre, nelle rivoluzioni, nei totalitarismi e soprattutto nella persecuzione, hanno vissuto l’apice delle tragedie del Novecento. Si tratta appena di cenni, di imperdonabile limitatezza, che valgano come invito a leggere o rileggere donne che attraverso il pensiero dell’esperienza – di quella esperienza – ci hanno offerto parole che ancora possono orientarci.
Di Hannah Arendt, è importante rileggere adesso la riflessione sui totalitarismi, perché al mutare delle condizioni storiche ne resta vivo il pericolo, e richiamare la riflessione sull’impossibilità contemporanea dell’agire come lacuna dell’esistenza, da cui discendono crisi dell’autorità, della libertà, dell’istruzione, del pensiero.  L’impossibilità contemporanea dell’agire, di un agire anche discorsivo, fa sì che la politeia lasci il campo alla forza, della quale possiamo essere solo spettatori/spettatrici, magari schierati in un campo o in un altro. C’è una lacuna del presente, quando l’agire è muto, ci ricorda Alessandro Dal Lago. E di fronte a questa guerra, dov’è il nostro agire, la nostra iniziativa politica? Quanto siamo lontani dalle mobilitazioni per il Vietnam che pure ebbero un esito non solo sulla fine di quel conflitto ma sul modo di pensare le guerre?
Di Simone Weil rileggiamo L’Iliade, poema della forza, in cui la filosofa coglie un dato della condizione umana. Proprio quel rischio di reificazione della persona umana che vediamo riproposto ancora nel XXI secolo:

Chi aveva sognato che, grazie al progresso, la forza appartenesse ormai al passato, ha potuto scorgere in questo poema solo un documento; chi invece, oggi come allora, individua nella forza il centro di ogni storia umana, trova qui il più bello, il più puro degli specchi. [La forza] finisce per apparire esteriore a colui che la esercita come a colui che la soffre; nasce allora l’idea di un destino sotto il quale i carnefici e le vittime sono del pari innocenti, i vincitori e i vinti fratelli nella stessa miseria. […] Il potere ch’essa possiede, di trasformare gli uomini in cose, è duplice e si esercita da ambo le parti; essa pietrifica diversamente, ma ugualmente, le anime di quelli che la subiscono e di quelli che la usano.

A queste parole tuttavia aggiungerei la notazione di Nicole Louraux secondo la quale

«è proprio dalla conflittualità stabilizzata che può nascere, per coloro che desiderano ardentemente uccidersi tra loro, il sentimento paradossale di un qualcosa in comune […].Hena thymon echontes: tutti, con un animo solo, troiani e achei». L’effetto unificante della guerra consiste nella volontà di annientamento reciproco.

Etty Hillesum e la sua esperienza al limite – la postura che il suo diario rappresenta – ci aiutano a non chiamarci fuori, come se, di quello che accade e in cui siamo implicate/i, si trattasse solo di dare un giudizio:

Dio mio, non si riesce ad accettare ciò che i tuoi simili si fanno l’un l’altro in questi tempi scatenati […] continuo a guardare le cose in faccia e non voglio fuggire dinanzi a nulla, cerco di comprendere i delitti più gravi, cerco ogni volta di rintracciare il nudo, piccolo essere umano che spesso è diventato irriconoscibile. In mezzo alle rovine delle sue azioni insensate.


 

Bibliografia

 

Jürgen Habermas e  Jacques Derrida

Nach dem Krieg: Die Wiedergeburt Europas

in Frankfurter Allgemeine Zeitung

31 maggio 2003

<valorelavoro.com>

(consultato il 24.07.2022)

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Will Hutton

Europa vs. USA.

Perché la nostra economia è più efficiente e la nostra società più equa

Trad. di F. Saulini

Fazi, Roma 2003

413 pagine, 8 euro

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Vassilij Grossman

Vita e destino

Trad. di Claudia Zonghetti

Adelphi, Milano

[1984] 2022

982 pagine, 16 euro

ePub 3.99 euro

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Hannah Arendt

Tra passato e futuro

Trad. di Tania Gargiulo

a cura di

Alessandro dal Lago

Garzanti, Milano

[1991] 2017

320 pagine, 12 euro

ePub euro 9.99 euro

Le origini del totalitarismo

Trad. di Amerigo Guadagnin

Einaudi, Torino 2009

792 pagine, 34 euro

ePub gratuito

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Simone Weil

L’Iliade o poema della forza

a cura di A.Di Grazia

Trad. di F. Rubbini

Asterios, Trieste 2012

112 pagine, 12 euro

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Etty Hillesum

Diario (1941-1943)

a cura di J.C. Garlaandt

Trad. di C. Passanti

Adelphi, Milano [1985] 1996

260 pagine, 12 euro

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Nicole Louraux

La città divisa. L’oblio della memoria di Atene

Trad. di  S. Marchesoni

Neri Pozza, Vicenza 2006

446 pagine, 40 euro

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