Punti di vista

Punti di vista

racconto inedito di Nicola Sacco

 

«Vedi di non farmi incazzare. Perché non rispetti il programma di allenamento come tutti gli altri?»

Angelo, in mutande, molla il pomello, gli volta le spalle e si china sul minibar. «Vuoi una Lemon Soda?» Gli tende la lattina senza guardarlo, continuando a passare in rassegna le bevande nel frigo.

«Finché fai parte di questa squadra, mi accetti come tuo Direttore Sportivo e fai il favore di starmi ad ascoltare, anche alle due di notte.»

Angelo decide per la Lemon che ha già tirato fuori, trascina una sedia accanto alla porta-finestra spalancata, stappa la lattina e si mette a sorseggiare guardando fuori il mare nero della notte. Il Cormorano Hotel, dove alloggia tutta la squadra della Bike Apulia CSC, si affaccia sul golfo di Manfredonia.

Pietro Longo Barmiani fa un altro passo dentro la stanza n. 18, si chiude dietro la porta, e continua:

«Sei qui a supporto del capitano Selvaggi, non giochi in proprio, il lavoro di carico lo fa lui e tu invece fai quello che ti diciamo di fare. Vi ho portato qui per fare la preparazione alla Super Fondo, non certo per vederti sparire dai radar ogni santo giorno perché ti piace giocare a fare lo stambecco sull’altopiano del Gargano. Stai compromettendo la tua forma fisica, lo vedi come stai secco sventrato?»

Angelo dà un sorso, torce le labbra strette in un movimento rotatorio, si fa degli sciacqui.

«Devi rallentare, non c’è nulla di male, sai? O il tuo corpo a breve ti presenterà il conto. Sei uno scalatore, e va bene, ci sei portato alla sofferenza, ma stai incappando negli errori tipici dei dilettanti, stai chiedendo troppo al tuo fisico senza una ragione valida, e non stai dando il giusto peso al percorso di gara, dove, ficcatelo bene in testa, farai da gregario a Selvaggi.»

Angelo strabuzza gli occhi ed esplode in una serie di colpi di tosse che lo fanno saltare dalla sedia. Si fionda sul terrazzino a sputare la bibita rimastagli di traverso. Quando si è calmato dall’attacco poggia i gomiti sulla ringhiera scaricandovi tutto il suo peso. Respira profondamente, sporto sul vuoto. Si ipnotizza qualche istante fissando la catenina che gli pende dal collo.

«Basta con gli sforzi in salita, Angelo» incalza l’allenatore che lo ha raggiunto sul terrazzino. «Vattene un po’ in pianura, ti serve lavoro di scarico e il Tavoliere sta lì apposta. Anzi, mi serve che tu faccia un po’ di vero e proprio stacco. Altrimenti in corsa ci arriva un cencio che non regge neanche uno scatto per portare la borraccia al capitano e la Bike Apulia si ritrova un uomo in meno. Io questo non posso permetterlo, non posso permettere che mi mandi a puttane la strategia di gara.»

Angelo tace assente, la catenina che ora sbuca dagli angoli della bocca e lo sguardo perso nelle lontananze buie dell’Adriatico.

«Porcaeva, lo sapevo che ci dovevo chiamare Serini al posto tuo. Lo sapevo.»

Barmiani se ne va sbattendo la porta. Più infuriato di prima.

Angelo si gira, sulla ringhiera ci appoggia il culo, con la lingua spinge la medaglietta fuori dalla bocca e due dita la raccolgono. La fissa per una decina secondi, poi si porta di nuovo la madonnina alle labbra. Stavolta per un bacio lievissimo.

***

 

Il punto è che in cima al Monte Calvo hai trovato me. Io che me ne sto come sempre in mezzo ai pullman, ferma idiota sopra un tronco di calcinaccio tutto corroso che pare un grande torsolo di mela smangiato, o un grande dente guasto. Ci scommetto che devi avermi trovata alquanto di gesso, con questo sguardo che mi ritrovo fisso ai turisti. Turisti? Sciami di motocarrozzine e barelle. Esaltati deformi che di continuo mi si appressano, mi dicono cose. Chiedono, più che altro. Piangono e se ne ripartono.

Embe’ non ci hai preso, perché muoio dalla voglia d’essere anch’io tra loro, malgrado la nausea che mi danno. A furia di desiderarlo mi sento meno santa di un tempo.

Ora ho una profonda conoscenza dei movimenti su queste rampe, so cosa vuol dire salire pedalando come fai tu, spingere più forte degli altri, scattare in faccia ai compagni. E restare soli. Santificarsi. Figurati, so anche che all’inizio t’importa solo di questa ascensione in solitaria. Ma poi cambia. Tranquillo che cambia. Detto da una che ne sa, eh.

Ti ho rivisto ancora e ancora. Devi aver cominciato a percepire qualcosa. I ciclisti fatti a ciclisti certe cose le sentono col telaio. Hai stabilito una connessione tra l’inerpicata in mezzo alla roccia spellata, la penitenza dei muscoli, il restare a morire in bici per così tanto tempo, la vista dei primi pellegrini scalzi e accaldati sui tornanti, la conquista della vetta. E me.

In capo a una serie di scalate hai cominciato a domandarti se magari non ci fosse, appresso a tutti ‘sti subumani, uno spazietto di benevolenza anche per te. Sotto il mio manto. Dopo più di mille metri di dislivello.

Per una volta puoi anche fermarti, sai? 

Hai sbandato. T’è parso assurdo che si levasse quella voce e che si rivolgesse proprio a te. Terrorizzato ti sei buttato giù per la discesa a rompicollo.

In albergo hai sperato di calmarti sotto il getto della doccia. Inutilmente. Tutta notte sei rimasto preda di una grande agitazione. Qualcosa di me, forse tutto, ti spaventa, eppure mi cerchi. Alle due hai ingoiato due bocconi da un avanzo di spaghetti, t’hanno preso i crampi addominali, mi hai visto fluttuare nella stanza tra globuli di luce fredda, su un catafalco che ondeggiava sopra le spalle dei portatori, strapazzata dall’euforia dei miei sciancati miracolati.

Riposato di merda, in questo nuovo giorno messo in terra da mio figlio, da suo padre, dal mio uomo, insomma vai a capire chi, riprendi la bici per farti altri centoventi chilometri di allenamento.

Scendi a sud della cittadella del sale per poi risalirla con il rapporto lungo e la postura da cronometrista, su una litoranea che impazzisce di rosa fenicottero. Mare da un lato e distese d’acqua rossa alternate a spaventose piramidi bianche dall’altro.

Appena fuori dal parco delle saline, una forza irresistibile ti richiama nell’entroterra, dirige le tue ruote nello sconforto infinito dei campi di pomodori, e ti fa puntare a nord, di nuovo alla volta del promontorio. Rieccoti  sulle pendici del Monte. Ti soffia contro un vento incandescente. Stavolta non c’è anima viva né su per i tornanti né qui attorno a me. L’arrampicata è una pena dell’inferno. Ma tu non guardi più neanche il cardiofrequenzimetro. Non ti interessa più conoscere i tuoi limiti. Ti interessa superarli. Crisi di sete. Tendini e tessuti tirati allo spasimo. Posso vedere superficializzarsi i tuoi nervi, esporsi troppo. Un altro sforzo troppo ravvicinato al precedente per la smania di tornare da me sul dente guasto.

Mi appari sulla rampa finale, ingobbito sul manubrio, tignoso.

Puoi fermarti, ti dico. E anche dirmi qual è il tuo nome. Perché mi cerchi?

Senti la mia voce in scia mentre scollini.

Guardami. Dissetati e guardami.

Allora freni deciso e stabilisci. Ci sono quelle che piangono e piangono addirittura sangue, ci sono quelle che esalano nell’aria in nebulose che compongono figure mantellate. Perché meravigliarsi se questa ha scelto di parlarti?

L’acido lattico ha travolto gli argini. Le immaginette, le statue a grandezza naturale, i grani di rosario, i libri sulla madonna, sono veleni nel sangue che i muscoli si rifiutano di smaltire. I polmoni bruciano come vi fossero accumulate colate di sabbia. Sofferenti accompagnati ripongono offerte nella cassetta laggiù. Tutti poi si accalcano attorno a una bancarella dov’è esposta la campana di vetro. Dentro c’è una pallottola di garza e ovatta accanto a un fazzoletto ben spiegato. Entrambi hanno delle macchie scure. Sangue ormai annerito. Molti si domandano se sia questo l’espettorato della sguattera tisica che per prima ebbe qui l’apparizione.

Metti piede a terra finalmente.

Ovvio che non capisci una cosa di quelle come me, sempre circondate di devoti: non dovrei sapere già tutto degli uomini?

Dalla faccia ti cade giù sudore a secchiate.

In effetti non voglio sapere niente di che. Desidero solo sentire la tua voce che si distende a raccontarmi una storia.

D’accordo, domanda precisa. Il tuo ricordo più antico?

Ti avviti il culo sul sellino, contorcendoti.

Nervoso? Che scemo. E sorridi, rocciatore che sei. Hai mai fatto il chierichetto?

Dev’essere stato uno dei momenti più penosi della tua esistenza. Lo fanno spesso questo reclutamento d’emergenza. Ci sei più tornato a quelle messe con penuria di chierichetti?

Sì esatto, avviene per lo più in certe chiese di cemento brutto di zone popolari. Ti buttano addosso una tunica che non è mai della tua taglia e se è troppo grande non fai che inciamparci tutto il tempo della funzione. Sai quanti ne ho visti di ragazzetti catapultati lì a non avere la minima idea di cosa fare, sbagliare tutto e voler scomparire per la vergogna benché gli avessero detto di non starsene troppo a preoccupare?

Che tenerezza quelle tue nocche sbiancate a mantenere tirato il freno nonostante tu stia fermo da un pezzo di fronte a me. Alla fine ti decidi a mollarlo e le tue dita si rilassano.

 Va bene. Ora ascolta. In realtà lo so. So perché mi cerchi, cosa vorresti chiedermi. Questo ti lega a me e da ora sei mio devoto. Devi manifestarti tu qui da me. Devi continuare a farlo.

***

 

Angelo Cinotti è in fila con i compagni della Bike Apulia CSC davanti al buffet di carboidrati e insalate, nella sala ristorante del Cormorano. Mentre valuta con cosa riempire il suo piatto gli arriva in un orecchio la voce bassa del Direttore Sportivo. «Appena puoi, al mio tavolo, grazie.»

Con Pietro Longo Barmiani, al tavolo c’è quel ciccione del massaggiatore.

«I tuoi test ci dicono che sei decisamente oltre la soglia lattacida.» Il massaggiatore annuisce. «Cinotti, così non va. »

«Perché voi sottovalutate l’influenza che l’inanimato può avere sulla psiche.»

«Niente» il ciccione si rivolge a Barmiani, «questo si è bevuto il cervello.»

«Cinotti sei fuori. Sei fuori dalla Super Fondo. Sei fuori da questa spedizione. Devi lasciare l’albergo. »

Angelo si alza, attraversa lentamente la sala ristorante.

I corridori stanno facendo delle gran feste a Davide Serini appena arrivato. Pacche sulle spalle e abbracci. Si voltano a guardare Angelo che sfila davanti a loro come un alieno.

Lui esce da una porta sul parcheggio, si appoggia alla Qashqai del massaggiatore. Le mani stringono la catenina, pronte a strapparla.

***

 

Stanotte di nuovo ti sono venuta in sogno. Mi scorgevi sotto le infinite arcate di una chiesa, tra i banchi, accanto a mio marito e al mio figlioletto. Eri innamorato. Io mi voltavo, ti guardavo liquida e dicevo in un labiale a te chiarissimo: “Adesso devi venire a prendermi dall’aldilà. E ricorda, puoi solo vegliarmi”.

Ti svegli che non conti più i muri che riusciresti a scalare per la rabbia di aver perso quel sogno. Ma oggi sei impegnato in altro. Oggi non sarai sul Monte. Hai da badare a un’altra sistemazione. Ti cerchi una camera sempre nella città del golfo, ti piace proprio l’idea di uscire in bici e ogni volta fare ritorno in un posto di mare. Quando sarai di nuovo sistemato vedrai. Pedalare sarà volare.

Sai, mulinare senza più fatica ti permette di soffemarti su questo paesaggio d’intorno, questo pezzo di tavola arsa salata, fitto di corpi separati nel dolore. Insediamenti neolitici, resti umani assorbiti in concrezioni calcaree, inghiottitoi paurosi, manufatti paleocristiani.  Andando per questo paesaggio si misura la distanza incolmabile tra un corpo e l’altro, tra uno vivo e uno vivo, tra uno morto e uno vivo, tra uno morto e uno morto. ed è bene non vederla tua vita confrontata allo splendore immortale di Nostra Signora Separatezza. Lei rimpicciolisce anche te, mio audace grimpeur, ti riduce a un muovere incerto tra giganteschi ruderi e calvari dove mio figlio se ne è andato peregrinando in carne. L’umanità fa lo stesso, parte in tromba, se ne va in carne, solo che finisce ben presto in puzza. Puzza di cloroformio. Di distanze incolmabili. Che spreco. Ecco il gran tradimento. Mio figlio ha fatto un manifesto dell’andarsene in carne. Questi lo stracciano ogni giorno in nome di un grande vuoto profilattico a capo del quale hanno messo una versione edulcorata di me a fare da regina. In te ciclista, invece, mi consolo, rivedo l’esperienza del sacrificio autentico. Ti stai salvando.

 

 

Hai fatto? Come ti senti oggi?

Aha, in quanto femmina ancorché decaduta ho un debole innato per gli esclusi. Per esclusi, eliminati, reietti e ostracizzati. Purché giovani e sani. Dimmi se ti innamori.

A me invece capita e capita che mi innamori di gente che mai mi corrisponde ovvero si spaventa di me e fugge. La gente si spaventa se le faccio conoscere tutta la mia biografia, allora ho inventato una versione più semplice.

 Una storia come la mia è un giacimento di uranio a cielo aperto. Rischio di far scappare le persone di fronte alla memoria degli orrori patiti. O di impietosirli. E io non voglio essere compatita.

Caschetto aerodinamico tolto, le tue mani lo accarezzano.

Invidio molto la tua padronanza sulle due ruote. I tuoi polpacci e le tue cosce armonici.

Io oggi tempestata di preghiere e di richieste da giornalisti che devono scrivere su di me. Mi assillano perché gli racconti degli episodi inediti per le loro riviste.

Adesso vai che c’è ancora tutta questa gente che mi invoca. Ma non sparire.

Angelo, Angeloooo!

Torna un attimo qui.

La pettorina, ti prego.

Faremo sempre più tardi. Perciò devi farlo, devi promettermi che avrai sempre la pettorina catarifrangente addosso. Queste strade al buio sono pericolose e io, dopo tutto, la notte sono sfinita, potrei assentarmi, vado solo per sogni.

Già, senza i superpoteri. Ti prego, Angelo.

 

 

Dove sei finito? Non tollero il tuo silenzio! Voglio vederti, sbrigati! Sono stanca, patita, tormentata dai teleobbiettivi, ho bisogno di riposare.

Ah, sei qui.

Sono andata a letto, ho sognato di una carne scivolosa imprendibile poi mi sono svegliata e adesso non posso più dormire.

Se non riposo certo non dipende da te. Sia chiaro.

Sì, stai proprio facendo il deficiente. Mi rispondi come il povero ragazzo che sei, e senza una cazzo di pettorina indosso.

Che peccato. Pensa, sono andata a rivedermi una tua gara ufficiale sulle Dolomiti. Nella tua stanchezza, nella tua crisi di fame, nelle tue ossa rotte, ho riconosciuto il mio ragazzo che saliva il Golgota.  T’ho visto guardare, come lui, tutta quella gente ai bordi della strada. Che voleva? Incitarti come un dio o ridere di te, della tua presunzione? Ti hanno sfottuto: e tu saresti dio? Ti hanno inseguito a piedi per sputarti in faccia. Altri hanno sghignazzato al tuo passaggio. Ti hanno colpito.

Che peccato. L’altro giorno pure, qui su questo monte,  ho visto nei tuoi garretti delle cose inattese, straordinarie. Sei riuscito nella tua sofferenza di scalatore a scolpire frasi d’amore, di quelle che una donna passa una vita intera senza mai sentirsele dire. Non mi pareva vero, sembrava l’anima di un poeta. E poi? Passa un solo giorno e qui c’è uno che boccheggia quattro scuse. E non venirmi più a dire di non essere all’altezza di una donna come me e altre minchiate. Volevi parlare con la madonna? Bene, accetta che si risenta.

Ma qui non si tratta di farmi un dispetto se tu scali la montagna o desisti, quello che posso fare per te è sentire se sei un vero uomo. Io che sono una poveretta ancorché primitiva e magmatica, il passo della madonna ce l’ho, innato, ed è una dannazione. Gli uomini veri, pure, sono dei dannati. Lo capisci?

Non guardarmi in quel modo. Mi fai male.

C’è un momento, quando sei lì ad agonizzare in bici, in cui hai un’espressione di grande dolcezza, che viene voglia di farti una carezza, di farti da madre. Ci sono altri momenti, più cattivi, in cui la smorfia di fatica ti fa sembrare un demonio. Mi appaiono due persone diverse. Sei l’una o l’altra? Forse sei entrambe e io allora capisco tutto. Capisco come possa essere stata corteggiata di buone e meno buone preghiere per centinaia d’anni. Capisco me stessa. Perché amo i miei sciancati. Perché li odio.

Provo per te una sensuale, sinistra inclinazione. Mi sa tanto che dipende dalle tue cosce di ciclista mentre la preghiera ti sboccia nel cuore. Tutti questi pellegrini dovranno pregare perché la situazione non ci sfugga di mano. Rischiosissima. Percepisco una strana ebbrezza. Angelo, miei infiniti lombi in sudore e in loro un ave maria.

No! Sei un ragazzetto che non sa quel che dice, che crede che basti scalare tre o quattro volte il Monte, ma poi che monte e monte? diciamola tutta: uno zampellotto! Ti credi basti scavallare uno zampellotto per arrivare al cuore di un simulacro di gesso guasto, per scoprire il mio segreto? Che stolto.

Mi devi adorare. O non abbiamo più niente da dirci.

 

 

Ma insomma, che fine hai fatto un’altra volta? Perché questa assenza? Sai che solo tu mi puoi apparire. Voglio vederti, sbrigati. E con la pettorina!

Ah no? D’accordo, resta pure nel tuo sepocro.

Ti stavi salvando, angioletto del Signore. Dall’errore in cui l’umanità annega per non aver abiurato alla separatezza dei corpi. Di tanto in tanto vi riprendete, quando quel vostro bel cazzo roseo si fa duro a stecca, o vi s’infuoca il buchino del culo. Ma presto è tutto finito. Non ve ne andate nella carne sempre, ad ogni respiro. Questo sarebbe vivere. Lascia che te lo dica una che ne sa. Sa la prigione del gesso, dei veli e del sangue dipinti.

L’ho sentito che con te entravo in un territorio sconosciuto, dove la mia storia moriva perché cominciava la tua. Scocciata di questo, è vero, ho desiderato anch’io colpirti. Ma  credi che una donna mortale possa amarti così?

***

 

Angelo Cinotti giace sull’asfalto in una tale quantità di sangue che non ci crede. Davvero ne aveva dentro così tanto? Davvero adesso tutto quel sangue si trova fuori di lui? è a questo che si riferiva  Pietro Longo Barmiani quando gli ha detto che a furia di correre a quel modo sconsiderato il suo corpo gli avrebbe presentato il conto? Ma sì, è così. In qualche modo nelle previsioni del Direttore Sportivo rientrava anche l’ipotesi che il suo corpo in bici potesse essere centrato da dietro, in un tratto in cui la strada spiana e fa una curva, da una Tempra verdone che fermava la sua corsa solo dopo aver impattato un paracarro. Con lui prima trascinato e poi preso dentro tra il muso dell’auto e il blocco di cemento.

Con l’aiuto dei viandanti la macchina è stata spostata indietro e quello che restava di Angelo urlante si è afflosciato al suolo.

Accanto a lui, ora, da un lato la Tempra verdone accartocciata sul davanti, dall’altro la bici ridotta a un groviglio di tubolari, materiali di titanio e fibra di carbonio. E una gamba. La vita di Angelo se ne fluisce via dall’inguine.

***

 

Padre, figlio, uomo, non so che. Devo smuovermi da questo altare. Liberami da questo gesso, libera la voce che grida il nome del mio bambino, del mio uomo, della carne della mia carne crocifissa, maciullata sull’asfalto. Voglio un vestito tutto nero, basta con questa bianca verginità. Sgorgami le lacrime, invecchiami, e lasciami andare a cullare quell’uomo deposto dalla croce della bici.

***

 

A spiacergli di più, andandosene, non è il conducente dell’auto che si affretta a spiegare ai pellegrini come, all’uscita di quella curva, si sia ritrovato davanti all’improvviso il ciclista che scendeva contromano. Qualcuno saprà ben inchiodarlo alla vera dinamica dell’incidente. A spiacergli davvero è che… accade questo proprio ora che era riuscito a far sentire viva la sua donna. E che Lei tornerà a essere quel che è sempre stata.

***

 

Miei poveri sciancati e stronzi! è colpa vostra, di tutto il tempo e le energie che mi fottete. Potevo deviare il corso di quella maledetta Tempra verdone. Potevo. E invece no, sempre in ostaggio vostro.

E tu sorridi, angelo di Dio, sorridi, perché mi guardi così? Hai l’espressione vuota del povero ragazzo che sei e senza un cazzo di pettorina indosso. Mi fai male. è un male che fai a una che se ne sta come sempre in mezzo ai pullman, ferma idiota sopra un tronco di calcinaccio tutto corroso che pare un grande torsolo di mela smangiato, o un grande dente guasto. Costretta a fissare da secoli la marea di visitatori.

 

Biografia

Nicola Sacco nasce nel 1974 nelle Puglie, dove vive e lavora. Laureatosi in Economia e Commercio, sceglie di manipolare le parole piuttosto che i registri contabili di qualche azienda ed è così che arriva, nel 2007, alla pubblicazione dei suoi “Racconti a vita Bassa” per Quarup Editrice.  Dal 2013 al 2020 svolge il ruolo di Portavoce del Sindaco di Modugno (Ba). Cessato l’incarico, torna a dedicarsi a tempo più o meno pieno alla narrativa. Ecco quindi che nel 2021 appaiono suoi nuovi racconti sulle riviste letterarie on line Neutopia, Waste e Quaerere. In precedenza altre narrazioni brevi pubblicate da L’immaginazione e Sagarana. Cose sue varie anche sul blog www.nicolasacco.it.

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