Desiderio del vero. Poesie inedite di Mario Famularo

Desiderio del vero. Poesie inedite di Mario Famularo

Immagini tratta da opere di Carlo Carrà

 

Nell’infanzia il primo fiore si

sostiene sul pendio dei nuovi

affetti, lievemente: non riesce a

immaginare quella roccia sgretolarsi,

il porto delicato farsi oceano e

smarrimento. Eppure è ciò che

avviene, per la furia degli eventi

che ci strappano all’origine, e

la fredda noncuranza che con

gli anni è più sensibile; l’istinto

suggerisce che è più semplice

annientarsi, farsi vento nella

polvere, schiuma tra le onde in

un deserto temporale. Ma il senso era

in quel seme, custodirlo con la

cura disperata del pregare, l’attenzione

che ogni cosa ha ormai perduto,

tranne questa: il dono della grazia

che sostiene chi precipita, voragine che

accoglie un destinato rifiorire.

 

Tutto intorno l’ostinata dedizione della

vita a divorare ad annientare a replicare

migliorandolo il codice che impone la sua

immagine sul vuoto: la febbre sul silenzio,

l’inquietudine sul placido distendersi della

dimenticanza. È tutto un germinare ininterrotto

che si nutre della morte che essa stessa rovinosa

rifiorisce: questa la maestria contraddittoria

dell’esistere, pianto che desidera e si affligge

senza posa, teso sensualmente allo splendore

di un istante. Per quel solo momento in cui

il tuo smarrimento smanioso si è specchiato

nell’autunno del mio sguardo, per quello

anch’io ho ceduto restituendo il sonno

estremo: non può esservi pace nel saperti

abbandonata a un paradiso predatore. Così

la vita incanta anche i migliori detrattori,

vincendoli all’impegno, pur di alleviare il

peso di chi soffre in loro nome. La

sopravvivenza non è affare d’amor proprio,

ma coscienza del dolore: eppure nel votarsi

a consolare il mondo intero, la piega di

quei rami acuminati ammorbidisce in

un addio dolcissimo di petali avvolgenti, e

nella curva bella dei lampi di magnolia.

 

Mia sola primavera, un giorno sarò

morto: avverti dal passato la carezza del

ricordo, o quello che maldestramente

tento di lasciarti. Questa disperazione, che

mi ha sempre accompagnato, appena si

è dissolta è diventata dispersione, sorriso

che si scioglie tra il profumo velenoso di

un abbraccio d’oleandri, rinuncia ad

un’estrema infanzia, splendida prigione.

Nel tuo lento fiorire ho custodito ogni

mio bene, qualsiasi godimento che per

celebrarti ho estinto. Tu mia vera gioia,

potessi solo cedere quel poco di speranza

che resiste debolmente per assicurarti

libera da questa mia afflizione, ignara del

dolore che per tutta un’esistenza ha

trovato il solo senso guidandomi

al tuo nome.

 

 

 

Biografia

Mario Famularo (Napoli, 1983) esercita la professione di avvocato a Trieste. Suoi testi sono apparsi su antologie e riviste letterarie, tra cui il blog Rai “Poesia, di Luigia Sorrentino”, “Poetarum Silva”, “YAWP”, “Argo”, “Inverso”, “ClanDestino”, “Il Segnale”, “Digressioni”, “Atelier” e tradotti in lingua spagnola dal “Centro Cultural Tina Modotti”. È redattore della rivista trimestrale “Atelier” e dei lit-blog “Laboratori Poesia” e “Niedern Gasse”. Collabora con il ciclo di incontri di poesia e letteratura “Una scontrosa grazia” e il blog Rai “Poesia, di Luigia Sorrentino”. Suoi contributi critici appaiono su “Nazione Indiana” e in prefazione a diverse pubblicazioni di poesia. Ha pubblicato le raccolte di poesia L’incoscienza del letargo (Oèdipus, 2018, terzo posto al premio Conza 2019) e Favēte linguis (Ladolfi, 2019).

2 Comments
  • Acquaviva Angela
    Posted at 11:35h, 18 Luglio Rispondi

    Intense tutte e tre,ma la prima e la terza ancora di più.La prima confidente e religiosa,la terza un eccelso canto d’amore e un tentativo,ben riuscito,di conforto.

  • Mario Famularo
    Posted at 13:50h, 18 Luglio Rispondi

    grazie .. 🙂

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