Poesie nell’erba

Poesie nell’erba

intervista a Sabrina Giarratana

a cura di Ivana Margarese

immagini di Sonia Maria Luce Possentini

 

Inizio col chiedere della genesi del progetto Poesie nell’erba e se a questo sono legate delle storie che avete voglia di condividere.

“Poesie nell’erba” nasce come raccolta di poesie tra l’estate del 2016 e quella del 2017. Il desiderio di scrivere di nuovo sulla natura, dopo diversi anni dalla nascita di “Amica Terra”, il mio primo libro pubblicato nel 2008 da Fatatrac, l’ho sentito per la prima volta nel 2015 a Omegna, il paese dove è nato Gianni Rodari, il giorno in cui insieme a Sonia Maria Luce Possentini abbiamo ritirato il Premio Rodari per il nostro libro “Poesie di luce”. Eravamo sedute al tavolino di un bar, dopo la premiazione, e ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare con Sonia un altro libro, e che questa volta sarebbe stato un libro dedicato al nostro comune amore per la natura, dove il colore predominante sarebbe stato il verde. Entrambe abitiamo nella natura: per Sonia, oltre a essere casa, è anche un tema ricorrente di tutto il suo percorso illustrativo, per me è il luogo in cui ho passato gli anni più belli della mia infanzia e in cui ho scelto di tornare a vivere da adulta nel 2003, dopo avere vissuto in città diverse e dopo un viaggio di sei mesi in Costa Rica con mio marito e i mie figli piccoli nel 2002, dove ho definitivamente compreso quanto mi sia necessaria la presenza della natura. Quando ho incominciato a scrivere le prime poesie di questa raccolta nel 2016 venivo da un lungo periodo di silenzio nella scrittura, avevo perso da due anni uno dei miei due fratelli, e ho sentito che la poesia mi stava venendo in soccorso per ritrovare le parole e per ritornare ad accendere di meraviglia il mio sguardo, che, nonostante tutta la bellezza della natura che avevo intorno, era stato a lungo spento. Ho sentito che tornare alle origini del mio amore per la natura attraverso la poesia mi avrebbe restituito energia e curato dal senso di vuoto, e che mi avrebbe fatto rivivere gli anni più belli dell’infanzia con i miei fratelli, quelli che per me vanno dai sette ai nove e mezzo, in cui per seguire il sogno di mio papà – vivere in campagna- ci trasferimmo da Bologna a Livergnano, a venti chilometri da Bologna, in una casa che dava sulla via Nazionale della Futa e che aveva alle spalle una montagna e di fronte una vallata, da noi indistintamente chiamata “il campo del contadino”. Quando penso alla mia infanzia penso a quei due anni e mezzo, è tutto concentrato lì, immersa in quella natura insieme ai miei fratelli. Come se ciò che è avvenuto prima e ciò che è avvenuto dopo, negli anni dell’infanzia cittadina, fosse solo un ricordo unico indistinto e sbiadito e poco interessante, mentre tutto ciò che è avvenuto in quei due anni e mezzo più selvatici fosse una miniera inesauribile di ricordi e un risveglio continuo alla meraviglia a cui ancora attingo per salvarmi la vita.
Spero di essere riuscita a dire almeno in parte attraverso queste poesie quanto io sia grata alla natura per essersi presa cura di me e di noi tre fratelli quando ne avevamo bisogno, per averci accompagnato e nutrito di bellezza, ma anche sfidato e intimorito, e poi consolato e rallegrato, lontani dagli sguardi e dalle interferenze dei nostri genitori, per nostra fortuna impegnati nelle loro faccende di adulti. Ed è proprio ai miei fratelli, Daniele e Roberto, che è dedicato questo libro. Ed è dedicato anche a Mia e Nina, le creature di Sonia, che adoro.

Come è nato l’incontro con AnimaMundi e Giuseppe Conoci, che ha pubblicato il testo nella collana dal titolo “bello mondo”?

Innanzitutto devo dire che non è stato facile trovare l’editore giusto. A un certo punto ho smesso di cercare e mi sono dedicata ad altre scritture. Nel frattempo seguivo la pagina facebook di AnimaMundi e scoprivo la ricchezza del catalogo di poesia di questa preziosa Casa Editrice di Otranto nata dalla cura e dall’amore di Giuseppe Conoci. Un giorno Massimo Trombi, libraio di Binaria di Torino, ha scritto parole bellissime sul libro mio e di Sonia “Poesie di luce”, che è esaurito e in attesa di ristampa da tempo. Pochi giorni dopo mi ha scritto Sonia chiedendomi che ne era delle mie “Poesie nell’erba” e se erano ancora senza editore. Quando le ho detto di sì mi ha risposto: bene, facciamolo comunque questo libro e l’editore lo troveremo dopo. Pochi giorni dopo mi ha scritto Giuseppe Conoci. Aveva probabilmente letto le bellissime parole di Massimo Trombi per il libro “Poesie di luce” e si è offerto di ripubblicarlo. Così gli ho risposto, felice della sua attenzione, che Giunti mi aveva promesso la rinascita a breve di quel libro, e che se non avesse mantenuto la promessa sarei stata certo interessata a ripubblicarlo con AnimaMundi. Ma che in ogni caso avevo un’altra raccolta inedita nel cassetto, “Poesie nell’erba”, che Sonia avrebbe iniziato presto a illustrare. Giuseppe mi ha risposto interessato alla nuova raccolta, così gliel’ho spedita e nel giro di qualche giorno mi ha risposto di nuovo: le mie poesie gli erano piaciute. Mi ha detto: sarà il primo albo illustrato di AnimaMundi. E così è nato il nostro libro, che apre la nuova collana dedicata agli albi illustrati, “bello mondo”, il cui nome è un omaggio a una meravigliosa poesia di Mariangela Gualtieri.

Soffia sulla ferita, soffia come/ quando soffi forte forte un soffione/ e pensa, pensa che non c’è più niente/ è svanito nell’aria lentamente”.
La lettura dei versi mi ha ricordato le storie della buona notte che vengono raccontate ai bambini per farli andare a letto tranquilli. Le narrazioni sono anche dei riti che offrono un accesso a una condivisione poetica capace di offrire cura e reciproco riconoscimento.

In realtà questi versi sono per me legati all’idea della natura come luogo di cura delle proprie ferite, che possono essere fisiche, come quando da bambino cadi e ti sbucci una gamba e ti insegnano a soffiarci sopra per far passare il male, ma possono essere anche ferite più profonde e invisibili, ferite dell’anima. La mia infanzia è stata bella ma per molti motivi non è stata serena, perché i miei genitori erano spesso in guerra tra loro. Perdermi nella natura significava per me ritrovare la pace, la leggerezza e l’allegria. Nella natura ho imparato anche il valore della ferita che cura, perché, se la vivi in modo avventuroso come la vivevamo noi, quando ti fai male ti dimentichi degli altri mali e soprattutto scopri che puoi resistere. C’è una poesia in questa raccolta legata e all’idea della ferita e della scoperta della resistenza al dolore: “Bolle d’ortica auguro alle gambe/non docili mari d’erba, ma rovi/mani che esplorano, ferite entrambe/fatiche senza immediati sollievi/e sete, sulla pelle e nella bocca/che ti spinge ad aprire di più gli occhi/disobbedire a stanchezza e dolore/poi cadere, rialzarsi e camminare/ e scoprire che si può resistere/che è questo il gioco bello di esistere.” E’ vero che le narrazioni sono riti che ci aiutano a vivere meglio e queste narrazioni possono arrivare direttamente dalla natura attraverso i suoi protagonisti: alberi, uccelli, nuvole, cielo, stelle, terra, fiume, montagna, erba e tutto il resto. Basta mettersi in ascolto.

Le poesie della raccolta sono strettamente legate a elementi percettivi: odori, suoni, colori e la stessa alternanza di luce e ombra diventano essi stessi narrazione. Come siete riuscite a lavorare coniugando testi e immagini?

La natura è il luogo del continuo stupore, della stupefatta magia che accende lo sguardo e amplifica la percezione di odori, suoni e colori. E’ il luogo in cui fin da bambini ci accorgiamo di sentire più intensamente, con tutti i sensi svegli. E riusciamo, attraverso questo sentire più intenso, anche a percepire a volte un segno, una eco di quel legame profondo e misterioso tra tutte le cose. Sentiamo le corrispondenze, come nella poesia di Baudelaire, che apre questa raccolta. La natura è, come la poesia, il luogo della creazione: qui si genera e si rigenera il mondo, in un ciclo infinito di nascita e morte, dove venire alla luce significa poco dopo cadere nell’ombra. E’ la narrazione della vita stessa, e in qualche modo corrisponde anche alla nostra vita interiore questa alternanza di luce e di ombra. Penso sia importante riconoscere questa alternanza e accettarla fin da bambini come qualcosa di buono e di necessario per noi stessi e per tutto ciò che ci vive intorno. Il lavoro mio e di Sonia per questo libro è avvenuto in modo separato. Prima sono nate le poesie, poi sono nate le illustrazioni. Sonia ha lavorato seguendo un suo sentire, partendo naturalmente dai testi ma senza altri condizionamenti. C’è da dire che con Sonia so già in partenza che il lavoro finito sarà sorprendente e bellissimo.

L’accettazione delle cose così come sono, la gratitudine, la capacità di attenzione e di meraviglia mi paiono i temi dominanti del vostro lavoro. Puoi dirmi qualcosa in merito?

Ho una memoria molto viva di com’ero da bambina, ho conosciuto tanti bambini, tra cui i miei figli, e il mio lavoro mi ha portato a conoscerne tanti altri. E penso che i bambini abbiano una naturale capacità di attenzione e una naturale propensione a cogliere la meraviglia e ad accettare le cose così come sono. E sentono la gratitudine e il bisogno di dimostrarla. Io stessa quando sono nella natura mi sento ancora come mi sentivo da bambina: grata, attenta e piena di meraviglia. Il lavoro, che sia di scrittura o di illustrazione, è l’espressione di un modo di guardare e di sentire il mondo.

Mi ha colpito la poesia dedicata a uno spaventapasseri che scappa spaventato dai passeri e non riesce a conformarsi al ruolo a cui è stato destinato:

“Pensa che brutto sentirsi costretto

dal vestito che ti hanno messo addosso

il coraggio è essere te stesso”.

Penso che conformarsi a un ruolo sia faticosissimo e che questa fatica alcuni cominciano a sentirla fin da bambini. Forse sono quei bambini più chiusi, più timidi, gravati di aspettative molto alte da parte degli adulti. A volte questi bambini si portano dentro queste aspettative alte fino a quando diventano adulti. A me per esempio da bambina avevano messo addosso il vestito della bambina buona e dolce e io la trovavo una cosa ingiusta, mi pesava moltissimo e non mi riconoscevo affatto in quel vestito. In qualche modo sentivo che quel vestito rendeva tranquilli gli adulti, e non capivo se erano limitati e poco attenti a chi ero veramente io o se erano furbi, perché affibbiandomi quel vestito speravano che non iniziassi a rompere le scatole anch’io come facevano gli altri bambini. Insomma, la sentivo come una forma di manipolazione. Questa fatica di conformarsi a un ruolo ho continuato a sentirla molte volte nella vita, ma alla fine dai vestiti più pesanti sono sempre scappata. Ecco perché provo una grande tenerezza per gli spaventapasseri e sono felice quando ne incontro qualcuno che scappa.

1 Comment
  • Gianluca Schiassi
    Posted at 09:45h, 21 Maggio Rispondi

    Un libro di poesie veramente meraviglioso.
    Delizioso il formato, bellissime le illustrazioni e emozionanti i testi

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