La Palermo male: dialogo con Vincenzo Profeta

La Palermo male: dialogo con Vincenzo Profeta

A CURA DI SARA MANUELA CACIOPPO E GIOVANNA DI MARCO

 

La Palermo male è una denuncia contro il sistema e i suoi falsi predicatori. Vincenzo Profeta racconta, con un linguaggio crudo e impudente, le macerie della contemporaneità nascoste dietro il velo dell’ipocrisia. Palermo, città dell’accoglienza per antonomasia, si trasforma in un girone dell’inferno dantesco, i cui abitanti/peccatori sono emblema di una falsità dilagante e inarrestabile. L’unica soluzione al disfacimento dell’Io contemporaneo sembra essere la morte, intesa come evoluzione e occasione di rinascita.

Con un esordio che scuote le coscienze, Vincenzo Profeta si pone al di fuori della norma, rivendicando un nuovo modo di pensare e di agire basato sulla ricerca della verità, la valorizzazione della diversità e il rigetto del capitalismo.

Le pareti di chi ha una casa borghese trasudano sempre sangue dei poveri, non c’è nulla da fare, non c’è redenzione. Poi muori, schiatti, […] ed è andata così: non è nichilismo, è voglia di mangiarsi una fetta della prossima vita. […] Puoi starci, ma ad un certo punto, […] Insomma, chiamala puzza di opportunismo se preferisci. È per questo che sei borghese, anche senza un soldo in tasca.

 

S.M.C: Nel tuo libro si nota un uso esasperato del flusso di coscienza. Il narratore riporta i pensieri senza dare loro alcuna cronologia, collegamento e coerenza stilistica. L’esperienza di lettura si fa pertanto visione allucinata o precipizio nel sogno del narratore. A tuo avviso, il ripugnante non va occultato, ma raccontato. Il linguaggio volutamente volgare si fa specchio del sociale e occasione di denuncia. Queste osservazioni corrispondo al tuo intento narrativo?

Per la maggior parte del libro è così, ma il mio libro aspira ad essere annoverato tra la letteratura profetica, è un progetto ambizioso, ma per chi studia una certa parte delle sacre scritture, può trovare non solo l’accennata conversione dell’io protagonista, ma persino il nome dell’Anticristo, non sono semplicemente dei Mac Guffin, ovvero accenni di trama avvincente, ma molto molto di più, e qui ci starebbe una faccina emoticon dal sorriso malizioso.

S.M.C: Fulcro del libro è il caos, evidente sia nei pensieri disconnessi espressi dal narratore, sia dall’impaginazione metamorfica che alterna la scrittura al disegno. Questo effetto di straniamento testuale conduce il lettore ad un’indagine inconscia su se stesso e la realtà circostante. La verità è sogno?

La verità è un sogno, è un incubo, ma anche un’utopia, un modo per migliorarsi, la verità è fede e spesso vita stessa, la verità è l’unica menzogna accettabile.

S.M.C: La città di Palermo assume gli stessi tratti allucinogeni del protagonista: Palermo è un grande meccanismo psichico, che ti rende la vita un’esperienza di premorte, è in realtà una città di zombie, è essa stessa un cimitero, è l’unica città italiana che alla sua entrata ha una lapide di benvenuto: tecnicamente, è la porta del subconscio dell’umanità. Palermo è morte e rinascita insieme, morte intesa come esorcismo dell’Io mediocre a favore del complesso e della ricerca del vero. Cosa vuoi dire a tutti i fautori della “falsa vita”?

Posso solo dire che la falsa vita può sembrare lunga ed entusiasmate e persino felice, infelice o avventurosa e ricca, ma è come un giorno per un insetto, cioè dura pochissimo nell’economia dell’eternità, e se pensi che sia l’unica possibile, stai pensando come un insetto, che per fortuna hanno la grazia di non pensare.

S.M.C: Il rigetto della realtà e dell’uomo contemporaneo appaiono evidenti sia dalle dure riflessioni del narratore, espresse da un turpiloquio continuo, che dalla descrizione di una perdita valoriale aggravata dal dilagare dell’ipocrisia sociale. La critica passa dal razzismo alla religione, includendo ogni genere di discriminazione. Hai scritto questo libro con l’intento di cambiare le menti?

No assolutamente, da questa storia in pochissimi si salveranno, soltanto chi ha spirito e coscienza dell’origine del proprio spirito, si potrà salvare da quello che sta per accaderci, e tutto questo è paradossalmente molto semplice, solo che non è molto figo o alla moda da dire, quindi non è facile, cioè è un concetto semplicissimo quasi scontato, ma non è facile da abbracciare, specie per chi crede di avere la verità in tasca, ed è cresciuto con ideali finto progressisti, indotti da prodotti culturali creati proprio per corromperlo e creare un positivismo nevrotico.

S.M.C e G.D.M: L’opera è rivoluzionaria sia da un punto di vista stilistico che contenutistico. Il narratore non sta bene nel reale e per questo smaschera le apparenze, nell’augurio che i lettori “vedano”.  Uno degli esempi su cui ricade la tua invettiva è lo stile di arredamento definito Shabby chic che caratterizza il nostro tempo, adorna le nostre case e risulta conformista nel suo accomodante anticonformismo. Quanto ti ritrovi nel termine “rivoluzionario” o se preferisci “anticonformista”?

Preferisco anticonformista, anche perché non riesco a concepirmi conformista, vuoi per deformazione professionale, vuoi per narcisismo, anticonformista è più estetico e visivo di rivoluzionario, e poi le rivoluzioni sono quasi sempre pilotate dalla borghesia, ed io detesto la borghesia, non tanto la borghesia economica, quella ben venga, ma quella mentale, che si riduce a fare tutto per avere degli utili, a stare con le persone, per averne un untile etc etc, un tipo di cinismo, che ho sempre detestato. Il rivoluzionario è figlio dell’utilità, l’anticonformista non ha bisogno di essere utile, se non per se stesso e per Dio.

S.M.C: I riferimenti alla robotica e al linguaggio del computer danno l’idea di una società virtuale, menzognera che vive di esteriorità, ponendo in secondo piano la crescita interiore dell’individuo. Il cyberspace vuol essere metafora di dispersione e di appiattimento dell’Io contemporaneo?

No lo so questo, lascio libera interpretazione al lettore in questo senso, di certo personalmente, trovo che il concetto stesso di progresso sia un treno che sta per schiantarsi contro un muro, e che rischia di cancellare ogni sentimento umano, per sino ogni figura organicamente umana, si può solo pilotare tutto questo per evitare il collasso, non solo del nostro sistema, ma dell’umanità come noi la conosciamo.

S.M.C: Hai giocato molto sul paradosso. Ci spieghi l’immagine di Palermo ridotta a Televideo nelle ultime pagine?

È pura decorazione, mi piaceva l’idea che lo skyline della città si dissolvesse, come in un codice mnemonico, o un algoritmo, tutto qui, presto le città saranno architetture virtuali, per chi sceglierà malauguratamente di viverci, poi io adoro la grafica del televideo, mi piace molto, sa di casa.

G.D.M: Cosa ti ha condotto alla scrittura di questa tua opera prima?

Sono stato spinto dagli editori, che sono delle persone molto intelligenti ed aperte, Gog è per me senza dubbio il meglio dell’editoria italiana, per il resto il mio libro era nell’aria da anni, è stato faticoso scriverlo nella prima fase, ma molto liberatorio, ed alla fine devo dire che non è stata tutta sta faticaccia, perché ho lavorato con dei veri geni, che mi hanno lasciato molta libertà, ed hanno saputo fare un libro che è anche un oggetto d’arte, in un certo senso.

G.D.M: Cosa è dunque la Palermo bene? Si tratta del contraltare fittizio di questa tua visione allucinata? O c’è dell’altro? Ne scriverai ancora?

La Palermo bene è quello che una certa fazione della città finge di vedere o raccontare, è questa frottola positivista, che chi sta bene si racconta e racconta a chi viene da fuori, ignorando egoisticamente chi in questa città soffre, facendo un grosso danno alla città, non lo so se ne scriverò ancora, io ho il classico amore ed odio per i posti in cui abito, ma nel mio libro Palermo è uno sfondo, in realtà il libro si riferisce a tutto l’occidente, non solo a Palermo, avrei dovuto chiamarlo, l’occidente male, ma sarebbe stato troppo ambizioso, come diceva Pirandello “vuoi salvare il mondo? Comincia dal tuo cortile.”

Biografia

Nel 2002 fonda il Laboratorio Saccardi, gruppo artistico riconosciuto a livello internazionale, per le numerose installazioni pittoriche dal piglio trasgressivo e provocatorio, partecipando a diverse biennali internazionali. Nel 2011 collabora alla realizzazione dell’ Archivo Flavio Beninati di Palermo diventandone codirettore.Nel 2013 fonda la rivista giovanile kill surf city. Attualmente continua la sua ormai sterminata produzione di opere d’arte con il laboratorio saccardi, e sta realizzando il progetto editoriale “#lapalermomale, prolegomeni ad una metafisica della fine.” previsto per il 2021. Per Morel, voci dall’isola ha realizzato la mappa visuale e i simboli delle sezioni. La Palermo male è il suo libro d’esordio, gog edizioni, 2021.

 

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