Opera viva

Opera viva

Dialogo con Roberto Ghezzi

a cura di Ivana Margarese

 

Su tutte le vette è pace,
in tutte le cime trasenti
appena un respiro.
I piccoli uccelli tacciono nel bosco Aspetta un poco, presto
Riposerai anche tu.
J. W. Goethe, Ein Gleiches

 

Roberto Ghezzi è un artista italiano nato a Cortona nel 1978. La sua ricerca creativa racconta un incontro tra artista e paesaggio. Senza l’ambiente, senza uno sviluppo dinamico, senza una storia che comprende una vasta gamma di influenze e relazioni con le persone e il mondo,  non esisterebbe essere umano riconoscibile. Tutto pensa, anche se in modi, forme, densità e intensità diverse. Tutto pensa, non solamente le idee. Ogni cosa è porzione, intensità, frammento di quella mente unica che coincide con il mondo. Come dice il filosofo Emanuele Coccia ne La vita delle piante la relazione fondamentale che intercorre tra vita e mondo è più complessa di ciò che definiamo con la nozione di adattamento, nozione quest’ultima che porta con sé anche lo spazio della competizione e della esclusione. Ogni vivente vive già da sempre nella vita altrui, da cui si lascia toccare e trasformare, e questa mescolanza consente il coesistere in cui ogni cosa sembra potere cambiare natura in un passaggio continuo dall’organico all’inorganico e viceversa:

Tutto è in tutto. La nostra identità non è mai stabile poiché percepire il mondo in profondità comporta un essere in contatto che ci modifica costantemente.

Le Naturografie nascono come opere vive in colloquio con la natura: le tele tracciano un tempo trascorso di uno, due o tre mesi, esposte a aria, acqua, vento e vite microscopiche. Si tratta di una vera e propria narrazione da parte della natura grazie alla tecnica umana, che in questo caso non si pone come strumento di potere ma di ascolto.

Inizio col chiederti del tuo lavoro e in particolare delle Naturografie, opere vive in cui tu e il paesaggio create insieme.
Dopo aver affrontato la rappresentazione del paesaggio mediante i consueti mezzi pittorici, circa venti anni fa ho iniziato a chiedere al paesaggio stesso un intervento diretto sulle mie tele. E’ stata un’esigenza dettata dalla volontà di instaurare un dialogo profondo con l’ambiente naturale, una connessione, un incontro.
Per realizzare le Naturografie io individuo il luogo, faccio dei campionamenti, disegno il progetto, scelgo i materiali (tele di organza, lino, cotone, ecc) e i supporti con i quali ancorarli, tratto i tessuti con reagenti naturali che stimolino questo dialogo uomo-ambiente, installo i telai e dopo una serie di monitoraggi per valutarne lo sviluppo li prelevo. Anche dopo molti mesi, talvolta anni.
E’ una ricerca più complessa di quello che potrebbe sembrare a prima vista, dove la volontà dell’artista e l’imponderabilità della creazione naturale viaggiano fianco a fianco.
Le Naturografie sono opere vive a tutti gli effetti, si modificano ogni istante proprio come il paesaggio; flora , fauna, elementi, in interazione c on reagenti e tessuti, tutto contribuisce a plasmare forme e colori di queste creazioni, depositando e sottraendo materia fino a raggiungere un equilibrio. Forse, l’essenza stessa del luogo, la sua magia, ciò che non puoi raccontare con un disegno, una foto e neppure un video.
Ad oggi ho creato Naturografie in molti luoghi del pianeta, dall’Alaska alla Patagonia, dalle isole Lofoten al Sudafrica, dall’Islanda al deserto del Sahara.

Vieni da una famiglia di artisti, cosa ti hanno insegnato tuo nonno e tuo padre?
Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia dove il disegno e la pittura erano all’ordine del giorno. Mio nonno era uno scultore, lavorava il legno. Ricordo pomeriggi interi, dopo la scuola, nel suo studio incantato.
Mio padre invece dipingeva ad olio; la prima cassetta di colori me l’ha regalata lui. Così come la mia prima canna da pesca, ed il mio primo cestino per cercare funghi.
E da allora, dopo 35 anni, l’ amore per l’arte e per la natura mi accompagna ovunque, in ogni ora del giorno e della notte. Non credo che avrei potuto creare o essere altro da ciò che sono diventato.

La nostra rivista Morel si occupa di narrazioni, incontri e orizzonti possibili, potresti raccontarmi una storia che ha cambiato il tuo modo di guardare?
Ho vissuto molte storie che hanno influito sul mio percorso e sul mio modo di pensare. Moltissime. Ricordo una volta, anni fa, a New York City, dopo un deludentissimo giro per mega gallerie nei meandri di SoHo che avevano rifiutato i miei cataloghi (si addirittura!), andai a “piangere” dall’amico Gianni , un fotografo molto bravo e poco conosciuto (in Italia, nella grande mela vive vendendo una sola foto all’anno).
Con quella calma zen che da sempre lo contraddistingue mi disse che avrei dovuto crederci. Credere nel mio lavoro. Credere in me. E lanciarmi, senza paure di non farcela. Perché fare l’artista è un po’ lanciarsi nel vuoto senza sapere se il paracadute c’è o non c’è.
Ma mai smettere di sognare. Si, magari il paracadute non c’è davvero, ma il volo non finisce mai e allora, a quel punto, che importanza ha..?

La tua ricerca mi ha fatto pensare al lavoro di Paul Cézanne e al suo sforzo di dipingere con estrema accuratezza il mondo naturale.
Non potevo aspettarmi paragone più lusinghiero.
Il fine ultimo della immensa pittura di Cézanne era proprio semplificare il dato reale riducendolo a una sintesi che permettesse di comprendere la vera essenza delle cose. Egli scavava al di là delle apparenze, mediante una ricerca ossessiva che lo portasse oltre l’inganno dei sensi. Una sorta di “ricerca ontologica , filosofica”, per usare le parole del critico Giulio Carlo Argan.
Nella mia ricerca c’è proprio questa volontà di superare il dato sensibile, per giungere all’essenza. Cercando di creare opere che non rappresentano un paesaggio, ma lo sono. Nel più vero e autentico senso del termine.

Quali i tuoi progetti futuri?
Purtroppo, come per molti altri colleghi, ho una lunga serie di mostre e progetti in sospeso per le conseguenze della pandemia, tra cui una grande bi-personale presso il Museo di Palazzo Penna di Perugia con la bravissima collega Ilaria Margutti, e una residenza artistica di un mese che avrei dovuto fare il prossimo Marzo in Nepal, nella valle dell’Annapurna. Si, credo che le montagne saranno la mia prossima sfida. E se non potrò raggiungere a breve l’Himalaya, beh abbiamo sempre le nostre bellissime Alpi a disposizione.

courtesy Nous Art Gallery

 

Biografia

Roberto Ghezzi nasce nel 1978 a Cortona.
Cresciuto nello studio di scultura del nonno e del padre, ha frequentato il Liceo “Luca Signorelli” di Cortona e l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Negli anni matura un disegno concettuale che, muovendo da riflessioni e sperimentazioni sul paesaggio naturale, a partire dalla pittura, trova espressione in un corpus di lavori inediti, da lui stesso denominati, mediante un neologismo, Naturografie. Si tratta di opere che Roberto Ghezzi realizza attraverso la natura, in un dialogo dove Uomo e Ambiente entrano in profonda e originale connessione. Ha effettuato decine di residenze artistiche, ricerche sperimentali e installazioni ambientali in luoghi selvaggi di tutto il mondo. È rappresentato dalle gallerie EContemporary di Trieste e Nous Art Gallery di San Gimignano.
www.robertoghezzi.it

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