Il ritratto della giovane in fiamme

Il ritratto della giovane in fiamme

di Alice D’Anella

 

« -Peut-être que s’il se retourne c’est qu’il fait un choix
-Quel choix ?
– Il choisit le souvenir d’Eurydice, c’est pour ça qu’il se retourne, il ne fait pas le choix de l’amoureux, il fait le choix du poète »
Portrait de la jeune fille en feu

 

Come Orfeo verso Euridice così anche Marianne, la pittrice protagonista del film Il ritratto della giovane in fiamme decide di voltarsi rivolgendo a Héloïse l’ultimo saluto, conservandone il ricordo.
Ambientato nella Francia del Settecento, Marianne viene incaricata di realizzare segretamente un ritratto della giovane Héloïse che rifiuta il matrimonio con un ricco uomo milanese. Ciò che nasce fra le due protagoniste è una tempesta di sentimenti, come quella rappresentata dalle note del terzo movimento dell’Estate di Vivaldi, che sembra voler essere il metronomo del loro amore. È come un improvviso temporale nelle afose giornate estive, che, di fronte all’impotenza dell’uomo, sfoggia la propria forza. La regista Céline Sciamma riprende dai miti dell’antica Grecia l’elemento dello sguardo come unico strumento per la profonda comprensione dell’individuo cercando di fornire interpretazioni diverse ad un gesto apparentemente così caduco. E se Medusa, trasformata in mostro dalla collera di Atena, non volesse essere guardata per paura di essere giudicata e usasse la pietrificazione come mero meccanismo di autodifesa? E se Orfeo avesse volontariamente deciso di voltarsi e, tramite quel fugace sguardo dimostrare a Euridice la sua più alta forma d’amore?

Tutto, all’interno del film, è giocato sugli sguardi e sulla loro profondità. Non si tratta solo di cogliere la potenza negli effimeri gesti delle due protagoniste ma anche l’attento occhio che la regista riserva alla posizione della donna nella società dell’epoca e in quella attuale.
Héloïse e Marianne diventano dunque le protagoniste di un mito ancora da scrivere in una comunità in cui la donna è considerata al pari dell’uomo, dove non vi sono gerarchie, in una società in cui la clandestinità di certe azioni considerate illegali, come l’aborto, cessa di esistere per lasciar spazio a leggi che ne permettano il loro svolgimento. A tal proposito, Céline Sciamma riprende la drammaticità delle parole e dell’evento vissuto dalla scrittrice Annie Ernaux nel 1963 in una Francia in cui l’aborto era ancora considerato illegale:

“Che la clandestinità in cui ho vissuto quest’esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta. Tanto più che il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che ‘le cose sono cambiate’. Ciò che è accaduto resta coperto dallo stesso silenzio di prima.”


Annie Ernaux riesce ne L’evento a dare voce ad un’esperienza che definisce “totale, della morte e della vita, della morale, del divieto, della legge”, un’esperienza che ancora oggi non viene del tutto accettata, quella dell’aborto. La parola stessa “aborto” sembra non trovare spazio nel linguaggio, sembra essere irrappresentabile nell’arte, indescrivibile nella letteratura.

Céline Sciamma sceglie di colmare questo vuoto inserendo all’interno del film due diverse rappresentazioni di tale circostanza: una cinematografica e l’altra pittorica. Scrive Annie Ernaux:
Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo.

La testimonianza della scrittrice risulta dunque essenziale poiché permette di ricordare un’epoca in cui l’aborto era proibito in quanto considerato un male (o forse un male in quanto considerato proibito).
Parallelamente, il mondo di Céline Sciamma dà voce ad alcune delle ingiustizie che da secoli perseguono l’esistenza di innumerevoli donne provando ad immaginarsi una comunità in cui pittrici, scrittrici e attrici sono al pari dei corrispettivi ruoli maschili, in cui le donne esistono indipendentemente dagli uomini e dove non sussistono disuguaglianze di alcun genere. Nell’isola immaginata dalla regista l’amore viene ancora considerato come una delle più alte forme di intelletto e di liberazione.
Troppo spesso ci si dimentica della forza delle arti come strumento di proteste e riflessioni costruttive, come fonte di profondi cambiamenti.

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