L’Italia di Dante con uno sguardo all’isola. Intervista a Giulio Ferroni

L’Italia di Dante con uno sguardo all’isola. Intervista a Giulio Ferroni.

IMMAGINE IN EVIDENZA DI MAX PETRONE (www.massimilianopetrone.com)

di Giovanna Di Marco

 

Giulio Ferroni ha compiuto tanti viaggi che assurgono e rimandano a un solo viaggio: quello di Dante, il Sommo poeta che del viaggio si è servito come artificio letterario per tessere la materia del suo capolavoro. Il viaggio di Ferroni, raccontato nel libro dal titolo L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della Commedia e pubblicato da La nave di Teseo, è finalizzato a ripercorrere il Belpaese, al fine di riscoprirne quei luoghi che vengono registrati nella Commedia, confrontandoli con un passato anche successivo a Dante e facendone un vero e proprio documento che tratteggi i momenti di grazia e le piaghe della decadenza; facendone invettiva, a tratti, sulle orme del poeta che tanto viaggiò, nel poema e nella vita vissuta. Un’indignazione dantesca si appropria di Ferroni di fronte alla decadenza dei valori, dallo stato dell’editoria fino al paesaggio, oggi tanto violentemente vilipeso, ma gli dà la spinta per mettere in rilievo il contrasto con la bellezza dei luoghi naturali e del patrimonio storico – artistico. Le mie domande vertono soprattutto sulla Sicilia, sull’isola, metafora più emblematica della nostra rivista, e sulla mia terra, nello specifico, come luogo dal passato glorioso e di ferite putrescenti, ma anche sul senso delle lettura delle opere d’arte nella letteratura.

Professor Ferroni, ne L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della Commedia, lei ci racconta il suo viaggio che inizia dalla tomba di Virgilio (e di Leopardi) a Napoli e si conclude nell’Uccellatoio di Firenze, dove la città di Dante si vede dall’alto. Ho interpretato questo fatto come un’iniziale catabasi che si conclude in anabasi, un po’ come la Commedia e dunque il viaggio di Dante. La sua scelta è stata casuale?

«Ho avuto sempre un grande interesse per l’intreccio tra inizio e fine, tanto è vero che sogno un libro sui finali delle grandi opere letterarie (ma non so se riuscirò a farlo): e anche per questo la sua osservazione mi colpisce particolarmente. Ma questo rapporto inizio/ fine nel mio libro è arrivato piuttosto per caso, per una sorta di provvidenza del caso. Per caso (avevo un altro impegno a Napoli) è nato l’inizio virgiliano, anche se subito ho capito quanto quell’inizio fosse necessario; ma ancora più per caso, per motivi pratici e organizzativi che avevano fatto sì che quella fosse l’ultima sezione del viaggio, è successo proprio alla fine mi sia trovato a guardare Firenze dall’Uccellatoio. Di questo raccordo con l’inizio mi sono reso conto solo quando ho concluso la scrittura del libro, mentre mi si è irresistibilmente affacciato alla mente l’incipit del XXV canto del Paradiso, in cui la spinta cosmica del poema si riannoda all’origine di Dante, al suo legame con la sua città».

Nell’introduzione alla sua opera lei cita un poeta che amo molto, Dino Campana, che, a proposito della poesia di Dante parla di “una poesia di movimento”. Il viaggio del resto è un archetipo letterario. Ripercorrendo i luoghi “danteschi”, quale immagine più di tutte l’ha suggestionata in modo decisivo, tanto da ispirarla e indurla alla scrittura?

«Le suggestioni sono naturalmente state infinite: nel ripercorrere il mio viaggio con la scrittura ogni intoppo e momento di stanchezza veniva superato dal richiamo del luogo successivo di cui mi apprestavo a scrivere: ogni luogo riconduceva al luogo successivo. E nello scrivere pensavo che sarebbe stato bello andarci camminando, non con i nostri moderni mezzi di trasporto. Naturalmente senza automobile questo viaggio non avrei potuto farlo. Ma ci sono state occasioni di percorso a piedi, che è stato ancora più bello ripercorrere con la scrittura: il sentiero che mi ha condotto alla cascata dell’Acquacheta, la ricerca delle rovine del castello di Giovagallo (dove risiedeva Moroello Malaspina, di cui Dante fu ospite), la lunga camminata tra i fiumi che segnano gli opposti limiti di Bologna, dalla Sàvena a sudest al Reno a nordovest, ecc… ».

A proposito dei luoghi siciliani (la rivista nasce in quest’isola, la Sicilia) mi ha particolarmente colpito la descrizione di due opere d’arte di cui lei ha potuto fruire presso la Galleria regionale di Palazzo Abatellis. Mi riferisco al Busto di Eleonora d’Aragona di Francesco Laurana e all’Annunciata di Antonello da Messina. Queste due opere diverse (una scultura e un dipinto) che raffigurano due soggetti diversi sono messe da lei a confronto dopo un’accurata e personalissima descrizione, diventando simbolo della bellezza che rimane nonostante il carattere caduco dell’esistenza. Come trasferire questa emozione, questa sorta di sindrome di Stendhal alle nuove generazioni perché ne possano fruire con emozione e con spirito critico?

«Certo bisogna avere il senso della bellezza e insieme quello della sua fragilità, per poter provare l’emozione della bellezza perduta e nello stesso tempo persistente di certe opere d’arte, la traccia di corporeità che essere sublimano e proiettano. Si tratta di qualcosa che possiamo trovare anche al fondo della grande poesia di Dante: e per me dietro quei ritratti di due tanto diverse donne siciliane del Quattrocento si affacciava anche l’immagine di Beatrice, fragile donna presto sparita dal mondo di cui Dante ha fatto un emblema assoluto di bellezza cosmica. Forse queste cose si possono trasmettere ai giovani solo attraverso la passione e l’emozione, che sappia far capire quanto sia falsa ed esteriore ogni bellezza virtualizzata e pubblicitaria, esibita e offerta al consumo».

A proposito del viaggio e della Sicilia, lei ricorda il suo amico Vincenzo Consolo, autore, tra l’altro di un’opera che richiama il viaggio di Ulisse in questa isola bellissima e straziante, in cui sono presenti alla stessa maniera “la luce e il lutto”. L’opera è L’olivo e l’olivastro, anch’essa fondata sulla dicotomia tra splendori e miserie, bellezza e degrado. Quasi tutti i titoli consoliani, tornando all’arte, richiamano manufatti siciliani. L’autore ha forse tentato di cristallizzare la memoria riscrivendola per vivificarla ulteriormente?

«Certo: naturalmente nel percorso siciliano ho pensato molto a Consolo, che tanto ho amato come scrittore e come persona. In fondo sulle sue orme ho cercato a mio modo di cristallizzare la memoria dei luoghi che ho attraversato, tra gli opposti della esuberante dispiegata e talvolta inquietante bellezza e della degradante lacerazione, della micidiale corrosiva violenza. Del resto ho sempre avuto una grande passione per la Sicilia: e non è un caso se nel libro le ho dedicato un numero di pagine che va ben al di là delle poche occasioni in cui Dante la cita».

Lei mi è parso molto critico nei confronti dell’editoria di oggi. Dove crede che stia andando, nel suo viaggio, la letteratura italiana?

«Temo che stia andando verso un’obbedienza agli stimoli del mercato, a tanti target precostituiti, con ben poco spazio per le scritture autentiche, aperte verso l’imprevedibile e l’essenziale. Ma sarebbe un troppo lungo discorso».

 

Biografia

Giulio Ferroni, professore emerito della Sapienza di Roma, è autore di studi sulle più diverse zone della letteratura italiana (da Dante a Tabucchi) e dell’ampio manuale Storia della letteratura italiana (1991 e 2012). Numerosi i suoi studi sulla letteratura del Cinquecento, tra cui Mutazione e riscontro nel teatro di Machiavelli (1972), Le voci dell’istrione. Pietro Aretino e la dissoluzione del teatro (1977), Il testo e la scena (1980), Machiavelli o dell’incertezza (2003), Ariosto (2008). Su questioni di teoria i volumi Il comico nelle teorie contemporanee (1974), Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura (1996 e 2010), I confini della critica (2005). Molti i suoi interventi, anche “militanti”, sulla letteratura contemporanea, in parte raccolti in Passioni del Novecento (1999). Tra le sue più recenti pubblicazioni: Gli ultimi poeti. Giovani Giudici e Andrea Zanzotto (2013), La fedeltà della ragione (2014), La scuola impossibile (2015), La solitudine del critico (2019), L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della Commedia (2020), con cui ha vinto il Premio letterario internazionale Viareggio Rèpaci 2020. Ha diretto il volume sulla Letteratura della serie Treccani Il contributo italiano alla storia del pensiero (2018).

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